Regia di David M. Rosenthal vedi scheda film
John Moon si alza quando è ancora notte fonda e si prepara ad affrontare il bosco, è un cacciatore e poco importa se la sua è caccia di frodo, John è cresciuto tra le montagne e si sente uno spirito libero, vorrebbe ricomprare la fattoria confiscata ai suoi genitori per viverci coltivando la terra e allevando bestiame, peccato che sua moglie non sia d'accordo e se ne sia andata portandosi via il piccolo figlio.
Il destino beffardo di Sam sembra già scritto ma una mattina mentre insegue un cervo uccide accidentalmente una ragazza, una bella ragazza che viveva come una barbona ma che conservava dentro una cassetta un bel mucchio di soldi, sembra un segno del destino e al destino non si sputa in faccia.
John occulta il corpo della ragazza e si prende la cassetta con i dollari, sarà l’inizio di un serrato confronto con personaggi bizzarri e pericolosi, la vita non fa regali e tutto ha un prezzo, sopratutto una cassetta piena di soldi.
Presentato prima al Festival di Berlino e poi al Tribeca Film Festival A single shot è un thriller intimista dai ritmi decisamente lenti, il regista David Rosenthal prende il soggetto dal romanzo omonimo di Matthew F. Jones (che ne scrive l’adattamento) e ci tira fuori un film dove l’azione più che mostrata viene suggerita e dove la tensione sta tutta nello sguardo da perdente di John Moore/Sam Rockwell.
Come capita a volte nelle opere adattate da romanzi il problema principale è quello di “asciugare” il materiale cartaceo in un girato che non superi le due ore, la cosa non è mai facile e spesso film potenzialmente validi si perdono per strada.
Cosa che succede in parte anche all’opera di Rosenthal, che dopo averci conquistato con una prima parte assai interessante si sfilaccia tra la moltitudine di temi affrontati cercando approfondimenti spesso superflui se non decisamente dannosi.
La dimensione thriller era più che sufficiente a tenere in piedi il film, il senso di colpa di Sam per l’uccisione della ragazza e il suo bisogno di riconquistare la famiglia bastavano e avanzavano per portare avanti la trama in modo lineare e fluido.
Invece si cerca un ritratto psicologico e sociale di un’intera comunità, si insiste nel mostrare lo squallido degrado di una cittadina cupa e opprimente, si lavora troppo su personaggi inutili come la figlia del fattore, protagonista non richiesta nel prefinale.
Sono convinto che tutti questi elementi nel romanzo avevano uno sviluppo più cadenzato e riuscito, la stessa cosa però non avviene nel film e la seconda parte ne risente parecchio, questo non basta ad affossare la pellicola ma di certo la limita parecchio impedendogli di andare oltre una piena sufficienza.
Del resto la tensione è ben gestita, il cast è di tutto rispetto e oltre al già citato Rockwell (una garanzia) va almeno menzionato Jeffrey Wright nel ruolo dell’amico ubriacone Simon e soprattutto W. H. Macy che interpreta un avvocato schizzato con super parrucchino.
Da non amante della caccia ho trovato il finale splendido, quel cervo che fa capolino sulla buca è stato un tocco di classe, mezzo voto in più solo per questo.
Voto: 6.5
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