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Youth

Regia di Tom Shoval vedi scheda film

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La recensione su Youth

di hupp2000
7 stelle

Un quartiere periferico di Tel Aviv ai giorni nostri. Due giovani fratelli, uno dei quali arruolato nell’esercito, decidono di rapire una ragazza di buona famiglia, in vista di un riscatto che salvi la loro famiglia dallo sfratto e altri problemi economici. Mettono in pratica il loro piano, sequestrano la giovane e la rinchiudono nel rifugio antiatomico di cui sono munite quasi tutte le case della città. Il tutto avviene però nel giorno dello Shabbat e la famiglia dell’ostaggio non risponde ad alcuna telefonata. Un ostacolo di sole 24 ore, che costringe però i due fratelli a gestire una situazione che credevano ingenuamente risolvibile in un batter d’occhio. La vicenda s’ingarbuglia drammaticamente, facendo risaltare la disperazione e la megalomania di un gesto votato al fallimento.

 

Opera prima di un regista israeliano a me completamente sconosciuto, “Youth” di Tom Shoval è un buon film sul piano della narrazione, della tensione e della prestazione attoriale dei due fratelli protagonisti, da quel che ho capito fratelli anche nella realtà. Il loro rapporto è forte, estremo e ambiguo, come spesso accade negli anni della tarda adolescenza. Caratterialmente, il soldatino Yaki, che non fa due passi senza il mitra d’ordinanza a tracolla, prevale su Shaul, ragazzo dei suoi tempi che si arrangia con lavoretti precari. Pregio del film è certamente l’ambientazione in una società che, pur adottanto stili di vita occidentali, appare assai distante dai modelli europei. La sicurezza è un’ossessione, il giovane che va in giro armato e in uniforme è visto da chi lo circonda come una pedina indispensabile per il quieto vivere. La militarizzazione spetta solo ad alcuni, ma è nella mente di tutti. Non avendo visto in volto i suoi sequestratori, la prima cosa che esclama dibattendosi la ragazza sequestrata è “Cosa volete? Siete Arabi?”. Pur non entrando nel merito della politica attuale dello Stato di Israele, il film ne mostra un’immagine piuttosto cupa e pessimista, traccia profili socio-psicologici di personaggi rassegnati e senza alcun ideale, come in tutti i paesi del cosiddetto mondo industriale. La vicenda potrebbe svolgersi in Italia, Francia o in Germania, ma non mi viene in mente alcuna situazione nella quale un’intera famiglia si rifiuterebbe di rispondere al telefono per un’intera giornata. E’ l’esile trovata di un film che si riscatta grazie al racconto dei piccoli rognosi problemi cui si trovano confrontati i due immaturi protagonisti alle prese con un ostaggio dalla forte personalità e di aspetto decisamente gradevole. La scivolata nel sessismo viene evitata, ma lasciar trasparire un inizio di sindrome di Stoccolma nel giro di una giornata mi è apparso un po’ eccessivo. Comunque, non ci si annoia e il finale lascia l’amaro in bocca.

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