Regia di Felix Van Groeningen vedi scheda film
La parte tenera della globalizzazione. E non intendendo per 'globalizzazione' l'appiattimento e l'omologazione culturali delle diverse popolazioni del mondo, ma l'estensione a perdita d'occhio di un solo modo di sognare e di un solo modo di concepire la felicità, sempre a partire da un'America da cui ci sentiamo sempre più provinciali. L'America e il suo Sogno Americano si sono ormai estesi all'intero mondo, all'intera Europa, quasi un ricambio d'affetto dopo che la cultura americana in sé è nata dalla cultura europea stessa. Un Sogno Americano che ormai è proprio anche dell'Europa, sempre più provincia americana, sempre più assimilabile a quel dato modo di pensare. L'America, con la sua musica e la sua democrazia, pronta ad accogliere tutti, chiunque voglia. E' un po' anche quello che fa Felix Van Groeningen, pur non muovendosi dal suo adorato (ma un po' dimenticato) Belgio. Egli si concede più di una libertà del tratteggiare un'Europa provinciale che ormai sembra diventata una terra del Nebraska, o di qualsiasi altro stato interno degli USA. Non è certo la fattoria con le galline a dare l'aspetto preciso e peculiare dello stato belga, ché quelle stanno anche negli USA. Al massimo il nome sopravvive, di quella Gand di cui il film irrimediabilmente si dimentica.
Ma Alabama Monroe è un film bello, sincero ed appassionante, a tratti al limite del sensazionalista ma spontaneo e in certi momenti notevole anche da un punto di vista registico che, più in generale, non si ricorda per uno stile particolare e ben riconoscibile. La storia di un amore, della sua nascita e del suo fallimento, attraverso stracci di realtà ripresi per associazioni quasi libere tra passato, presente e futuro, seguendo più che la linea cronologica la linea delle emozioni, in maniera tale da rendere ancora più drammatici e tragici gli eventi raccontati confrontandoli per antitesi ai ricordi e alla memoria condivisa di questa coppia alle prese con un terribile lutto. A scontrarsi poi non sono solo i due modi diversi con cui Elise e Didier elaborano il lutto, ma anche le loro differenti credenze, tanto che l'idea stessa di fede e di illusione prende gradualmente il campo lasciando intendere ben più di quanto la semplice storia dichiari. L'idea stessa di questa America invadente sembra entrare in conflitto con le nuove disillusioni dei personaggi, atterriti (soprattutto Didier) di fronte al Bush di pochi anni fa che metteva il veto sulla legge che lasciava la libertà dell'utilizzo delle cellule staminali. Ma proprio la musica country (la "vera cultura americana") sopravvive, come sopravvive (purtroppo) anche uno stile più americano che europeo (e qui viene da pensare che sia abbastanza ovvia la candidatura all'Oscar). L'America continua ad essere un sogno da rincorrere e da conquistare, anche nella situazione più drammatica e senza scampo. Possono esserci litigi, separazioni, lutti, ma la musica resta e va oltre l'acido materialismo o la favolistica illusione, a rompere l'incomunicabilità fra gli esseri umani.
Didier, contrario a qualsiasi limitazione morale imposta allo sviluppo scientifico, ben presto finisce per incolpare Dio e le religioni del mondo, per aver limitato in senso totalitario la vita dell'uomo sulla Terra; questo non gli proibisce però di credere ancora nell'America e nell'illusoria fortuna che prospetta (per un bel racconto sul rapporto fra Europa e America, andarsi a vedere La ballata di Stroszek), checché ne dica Bush o chi altro per lui. Elise, che invece è disposta ad accettare pochi attimi di felicità nell'illusione che un uccellino o una stella possano portare in se stesse l'anima della piccola Maybelle (e che, magari, "crede" davvero in un'altra cosa, nei suoi tatuaggi), tenterà invece di farla finita, nella consapevolezza che quel rapporto d'amore può terminare solo con la morte. Tra speranza e nichilismo, i personaggi si scontrano in dispute e dialoghi contraddittori e profondamente umani, benché non si capisca bene se sia Von Groeningen a non sapere come sciogliere la vicenda, o abbia invece voluto davvero mettere in scena l'incapacità dei due protagonisti di risollevare il loro rapporto. Comunque sia, Alabama Monroe evita il didascalismo, rimane leggermente piatto dal punto di vista visivo (tranne l'esperienza pre-Morte del finale, davvero dinamica e suggestiva), ma ha dalla sua due interpreti geniali e un tono melodrammatico che non strafa, benché, certo, non sia la tragedia l'elemento "reale" che va a distruggere il Sogno Americano. Quello, illusoriamente, rimane. Abbiamo davvero bisogno a quel punto di un sogno? Forse sì. Ma non ne esiste uno europeo? Sicuramente sì. Se poi si fosse avvertito un maggiore senso di provincialismo in questo Belgio travestito, allora forse il film sarebbe riuscito a commuovere/problematizzare ancora di più la vicenda. Comunque una sola visione basta.
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