Regia di Felix Van Groeningen vedi scheda film
La storia è tratta da una pièce teatrale il cui testo è stato riscritto per il cinema dall’autore, Johan Heldenbergh, che ne è diventato, perciò, lo sceneggiatore, nonché l’attore protagonista Questo film ha conteso l’Oscar 2014 a “La grande-bellezza”, ma ha ricevuto il prestigioso riconoscimento del César, il massimo premio francese.
Didier (Johan Heldenbergh ) vive nei pressi di Gand, ed è il selvatico proprietario di una grande casa di campagna, che, per diventare un’abitazione avrebbe bisogno di essere ristrutturata a fondo.
A lui, individualista e un po’ orso, però, importa poco di trasformarla e abbellirla: si accontenta di vivere nella vecchia roulotte parcheggiata davanti a quella dimora: forse meno spaziosa, ma più adatta a lui, visto che si sente a proprio agio solo quando è immerso nella natura, vicino agli animali e alle piante.
Didier si esibisce con successo in un complessino musicale di amici, suonando il banjo e cantando la musica folk americana nota com bluegrass, quella del repertorio di Bill Monroe.
L’incontro decisivo della sua vita, però, avviene in città, presso un centro di tatuaggi dove conosce Elise (Veerle Baetens), la bella tatuatrice, che ha inciso sulla propria pelle molti eleganti disegni, grazie ai quali è possibile leggere la sua storia personale, gli amori che sono finiti, di cui ha ricoperto le tracce, nonché le date e i ricordi, di cui ha voluto mantenere la memoria.
I due si piacciono da subito e molto: è amore a prima vista e grande passione esclusiva. Arriva poi la gravidanza di Elise, lo sgomento di lui, la ristrutturazione della vecchia casa e la nascita di una bimba bellissima, Maybel, accolta in questo mondo dal complesso dei cantanti folk al gran completo, amici inseparabili della coppia, fra i quali anche Elise, con la sua bellissima voce, si era da tempo inserita.
In queste scene – flashback presenti lungo tutta la narrazione – si addolcisce il durissimo addensarsi della tragedia che si abbatterà sui due giovani e innamorati genitori: la leucemia di Maybel e la sua successiva e straziante uscita di scena.
Il film non è, infatti, costruito secondo una narrazione lineare, ma attraverso l’ intersecarsi continuo dei piani temporali*, che stemperando l’atmosfera pericolosamente avviata verso il melodramma cupo e lacrimoso, rendono più sopportabile a noi l’infittirsi delle situazioni terribili che, dopo la morte di Maybel, finiranno per far traballare l’unità della coppia.
Il fatto è che di fronte a una tragedia così grave e inspiegabile, senza un perché plausibile, come la morte della loro bimba ancora piccola e piena di voglia di vivere, è difficile che l’amore resista facendosi elemento di coesione: avranno la meglio, purtroppo, gli immotivati sensi di colpa, la rabbiosa ed esplosiva disperazione, il desiderio di farsi molto male, nonostante l’amore sia ancora in entrambi, paradossalmente, molto profondo.
Il regista fiammingo di questo film, che pure termina con un finale assai tragico, evita le trappole della narrazione strappalacrime, poiché, facendo di continuo riemergere le immagini felici del passato, sposta su queste la nostra attenzione di spettatori permettendoci di affinare, in una sorta di catarsi, le emozioni più violente, giacché la pellicola mantiene lungo la sua durata una convincente compostezza.
Grandissima importanza, a questo scopo, ha anche la bellissima musica folk, che accompagna le sequenze più significative del racconto. Notevole davvero la recitazione dei due attori principali.
*il modo della narrazione e il suo tragico svolgersi mi ha ricordato almeno due altri film: il bellissimo Blue Valentine di Derek Cianfrance e La Guerra è dichiarata, il bel film autobiografico di Valérie Donzelli.
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