Regia di Yoji Yamada vedi scheda film
Amaro apologo sui rapporti generazionali nel Giappone contemporaneo e al tempo stesso convincente omaggio al grande Yasujir? Ozu
In una scena del film dal sapore simbolico, un furgoncino passa in un quartiere periferico di Tokyo per un servizio porta a porta di ritiro dei vecchi elettrodomestici rotti, oppure semplicemente obsoleti. Nella capitalistica e consumistica società giapponese contemporanea (e non solo…) anche i vecchi sono inutili rottami, un peso di cui liberarsi alla prima occasione: se ne accorgono molto presto Sh?kichi Hirayama e sua moglie Tomiko, i due anziani coniugi giunti dalla loro sperduta isoletta nella grande metropoli per trascorrere un po’ di tempo con i loro tre figli e le rispettive famiglie. Le loro aspettative sono brutalmente deluse da una realtà in cui gli impegni professionali e le aspirazioni di carriera dei figli hanno il sopravvento assoluto sulla dimensione affettiva e sul senso della famiglia. La presenza dei genitori, subito relegati in asfittiche camerette di appartamenti periferici e sovraffollati, si fa sin da subito ingombrante, al punto che, dopo una serie di disguidi e malintesi, si decide di comune accordo e senza tanti rimorsi di spedire i due vecchietti in un lussuoso albergo, mascherando la proposta come una specie di vacanza premio. Sentendosi soli e abbandonati, Sh?kichi e Tomiko decidono di abbandonare l’albergo in cui si percepiscono come prigionieri e di organizzarsi autonomamente per un’ultima notte a Tokyo prima di ripartire: ma il destino interverrà perfidamente a sconvolgere i loro piani e ad impedire un sereno ritorno al loro sereno ménage di coppia.
Il film va decisamente oltre lo schematismo dei ruoli (figli – cattivi vs. genitori - buoni) e proprio in questa capacità di approfondimento e di introspezione si trova secondo me uno dei punti forti della sceneggiatura. Nel corso della vicenda si profilano infatti delle significative eccezioni: in contrasto con la dolcezza e la delicatezza di Tomiko, Sh?kichi si dimostra burbero, ostinato, poco incline alle manifestazioni d’affetto, con un passato non del tutto rimosso da iracondo alcolista, troppo severo con il terzo figlio che ritiene un incapace e un fallito (mentre ammira molto il primogenito medico), il quale a sua volta si dimostra imprevedibilmente l’ucapace di esprimere un po’ di amore e di dedizione per i genitori.
Altro aspetto molto interessante da sottolineare: gli estranei si dimostrano più affettuosi, comprensivi e disponibili dei figli: è il caso della moglie del primogenito, della fidanzata del terzogenito e dei vicini di casa nel paesello d’origine dei genitori (che si incaricheranno spontaneamente e gratuitamente di accudire il padre dopo la partenza dei figli). Nel mondo rurale della sperduta isoletta si trova ancora qualche scampolo di altruismo e di solidarietà umana, valori del tutto perduti nella frenetica metropoli, un tema questo che mi ricorda, mutatis mutandis, situazioni analoghe nella verghiana Vita dei Campi.
Un capolavoro che rende un adeguato omaggio all’omonimo Viaggio a Tokyo del grande Yasujir? Ozu, di cui Y?ji Yamada. si dimostra degno discepolo ed erede.
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