Regia di Valerio Zurlini vedi scheda film
Parte in quarta, con Corrado Pani (belloccio borghese, ricco ed irruento) che gioca Claudia Cardinale (svampita ma con un passato forse scottante da cui è bene tenere le distanze) e l'abbandona in un luogo a lei sconosciuto, per poi ritornare nell'alveo familiare, facendo da collante fra la prima citata ed il proprio fratello minore. Così l'incipit vira subito verso una Traviata ricontestualizzata negli anni del boom: lui è un ragazzotto ricco, timido ma pregno di una passione di cui un po' si vergogna ed alla quale tenta di dar sfogo mascherandola con scrupoli di coscienza (rimediare al torto fatto dal fratello), che lo porta ad alzare sempre più il rischio delle proprie azioni (sia in termini economici che sociali) compromettendosi sul piano familiare e scolastico; lei è una giovane donna che pur avendo sperimentato il morso del fallimento e dell'abbandono non ha mai smesso di nutrirsi di illusioni, così getta benzina sul fuoco emotivo che avvolge il ragazzo, non ostentando un reale interesse nei suoi confronti ma fornendogli appigli che portano lui a logorarsi e lei a farsi nemici in ogni dove (i familiari di lui, il suo vecchio compagno, il suo possibile nuovo procacciatore di lavori). Fino a che non è la società stessa a dover intervenire rimettendola al suo posto (il bellissimo confronto col precettore) spingendola sull'orlo di quella voragine che è il suo passato sconquassato, nel quale non c'è quasi nulla da rimpiangere. Ed alla fine, esauriti anche gli ultimi gemiti di quel non amore mai davvero espresso, anche il ragazzo capisce che gli è più conveniente emulare il fratello (anche se con più eleganza): la sua lettera d'addio è in realtà un pagamento in contanti per comprare silenzio e discrezione. È un film sicuramente intenso e ben fatto, in cui le capacità di messa in scena di Zurlini vengono fuori a più riprese regalando momenti molto emozionanti (il primo incontro fra Perrin e la Cardinale, lei che lo raggiunge dalla pista da ballo, il delirio alcolemico dopo l'ennesimo abbandono, il disperato abbraccio sulla spiaggia), ma ha qualcosa che non mi convince fino in fondo. Sarà che la storia è così risaputa ed è già stata rappresentata in talmente tante salse che questa trasposizione non riesce ad aggiungere nulla a quanto già visto, ma ritengo che un peso maggiore sia da attribuire alla sensazione di "freno tirato" che aleggia per tutta l'opera: non si va al nocciolo della critica sociale e nemmeno si analizza in modo compiuto l'umanità presa in considerazione, quasi si avesse paura di spingersi troppo oltre.
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