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Swimming Pool

Regia di Carlos Quintela vedi scheda film

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La recensione su Swimming Pool

di OGM
8 stelle

Ma l’orizzonte non si vede mai. È come se non vi fosse niente altro, al mondo, che la distesa semideserta intorno a quella vasca olimpionica. È un microcosmo tranquillo e piuttosto silenzioso, abitato da strani esseri, che sono diversi tra loro, comunicano a stento, camminano con difficoltà, eppure esistono, e riescono, in qualche modo, a stare insieme senza annoiarsi. Un istruttore di nuoto accudisce quattro adolescenti con varie disabilità. All’interno di quel gruppo, le differenze, i limiti e le incomprensioni sono il collante di una misteriosa armonia, l’accento di un’anima sofferente ma serena, che si posa su tutti come un soffio spensierato e leggero. Essere ragazzi significa anche e soprattutto non prendere nulla sul serio, lasciando che le incongruenze della vita scivolino addosso in un lampo, per poi subito tuffarsi nell’oblio. L’acqua accoglie i loro movimenti imperfetti, casuali, impulsivi, ma ne cancella immediatamente le tracce, tra le onde disordinate prodotte da un approccio alla realtà dall’apparenza goffa, però intimamente gioioso. Inutile cercare lontano, nel concetto di umanità in senso lato, nell’unità nella molteplicità che definisce la nostra specie, le radici di quella singolare comunanza di sentimenti confusi, di emozioni che si fa fatica ad esprimere in parole, di azioni inspiegabili e, all’occasione, magari un po’ cattive. Diana, Rodrigo, Oscar e Dany trasportano i loro esseri alternativi attraverso un angolo di terra che è accogliente ma anonimo, e chiede di essere riempito con qualsiasi cosa sia vivo, spontaneo, originale, per quanto acerbo ed incompiuto. Va bene anche, all’occorrenza, abbandonarsi a quel nulla, a quella sospensione della severa logica del tempo che vorrebbe, ad ogni costo, costringere le azioni e i discorsi a concatenarsi in storie con un significato preciso, con un punto di partenza ed un fine. Questo film, invece, sta  fermo a guardare, a registrare con rispettosa indifferenza ciò che accade senza scopo alcuno, e si astiene quidni dal raccontare, dallo spiegare, dal contestualizzare. Quello che ci scorre davanti è un pomeriggio passato in una indolenza vacanziera venata di sagace curiosità ed innocente malizia, in cui nessuno cerca niente più che la sensazione di esserci, per sé e per gli altri, godendo del contatto del corpo con le persone e le cose, e specchiandosi negli sguardi del vicino. Un gioco primitivo ed infantile, non ancora codificato dalle categorie degli adulti, consente di superare le barriere azzerando il filtro delle convenzioni e rifiutando l’uso di termini di paragone. I protagonisti di questa convivenza senza condizioni riescono ad interagire in maniera libera ed imprevedibile perché sono inconfrontabili, impossibili da ricondurre ad un copione che preveda ruoli predeterminati e magari surrettiziamente paritetici. L’uguaglianza, in questo caso, è il naturale risultato dell’assenza di criteri in base a cui effettuare distinzioni. Da un attimo all’altro, ci si può amare oppure odiare, e non c’è modo di trarne delle conseguenze e pervenire a delle classificazioni. La piscina si svolge in un giorno qualunque, in cui il sole si alterna alla pioggia, l’attività alla pigrizia, l’impegno alla noncuranza. È la cronaca di un incontro che potrebbe avvenire in ogni luogo, ed in ogni momento, indipendentemente dal prima e dal dopo. All’inizio non si sa, come ci sia trovati, tutti insieme, a frequentare la stessa piscina, Ed alla fine ci si saluta, semplicemente, dandosi appuntamento all’indomani. 

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