Regia di Janis Nords vedi scheda film
Com’è difficile essere figli di una mamma assente. Lì per lì può sembrare divertente, godere di tutta quella libertà, davvero inusuale per un ragazzino. Ad un certo punto, però, iniziano i guai. A quell’età non si riesce infatti ancora a distinguere il gioco dalla realtà, nella quale le regole sono molto più rigide, ed ogni errore si paga. Raimonds vive a Riga, insieme alla madre, un medico single che lavora molte ore al giorno, e spesso anche di notte. Lui ne approfitta per marinare la scuola, uscire insieme al suo coetaneo Peteris, scorrazzare per la città a bordo del suo monopattino. Ed è fin troppo facilmente che, sulla scia di un’occasione offertagli dal suo amico, Raimonds si mette a rubare.
Non accade per avidità o curiosità, ma solo per le conseguenze inattese di un’innocente avventura, che aveva intrapreso per pura e semplice noia. I bambini problematici lo sono spesso perché impegnati a risolvere questioni che riguardano la loro educazione, soprattutto l’assenza di una guida certa e di utili indicazioni su come affrontare gli impegni scolastici e la restante parte del tempo. Chi non sa o non trova, è costretto ad inventare. Raimonds ha tanta fantasia, e, come tutte le persone sole e disorientate, ha bisogno di un rifugio, di un posto segreto dove potersi sentire sicuro e godersi qualche attimo di pace: ad esempio, quell’appartamento il cui proprietario è quasi sempre fuori casa, spesso è addirittura in viaggio per il mondo, e nel quale la madre di Peteris entra, una volta alla settimana, per fare le pulizie. Esiste per tutti un luogo nel quale ci si rintana, per poter sognare un po’. Raimonds lo incontra per caso, e da quel momento ne rimane fatalmente attratto. Salire quelle scale ed aprire quella porta è per lui una maniera di smettere il suo vagabondaggio, interrompendo la sensazione di essere ovunque un estraneo, un diverso, un ospite mal tollerato. Gli capita a scuola, gli capita tra le pareti domestiche, dove si ritrova spesso abbandonato, rimproverato, incompreso. La colpa non è tanto degli adulti che lo circondano, che fanno tutto il possibile per correggerne il comportamento, quanto della situazione complessiva, di una società nella quale i ruoli sono ben definiti, e l’inquadramento generale non lascia alcuno spazio alla divagazione intorno alle questioni propriamente umane. Mamma, io ti voglio bene, così recita il titolo: una frase che forse rispecchia una verità interiore, inconscia e comunque profonda, ma che, nella storia, non perviene mai ad esprimersi nella sua commovente semplicità. In Lettonia, d’inverno, inizia a fare buio presto, e in tanta oscurità si è portati a confondere il mattino con la sera, il pomeriggio con l’alba: per Raimonds la vita deve comunque continuare, in un modo o nell’altro, anche se non c’è luce, anche se i locali chiudono, anche se le strade sono deserte. Ci si vede poco, ma la voglia di fuggire è sempre tanta.
Janis Nords, qui al suo secondo lungometraggio, porta sullo schermo il racconto di un’infanzia crepuscolare, che nelle sue maldestre scorribande finisce per imboccare i vicoli ciechi del noir metropolitano. L’esperimento, per quanto timido e poco incisivo, affascina per la sua delicatezza, che pure non evita il confronto con le asperità di un’esistenza vista dal basso, talvolta inafferrabile, nonché velata da un senso di impotenza che strappa un sorriso di tenerezza.
Mammu, es tevi milu ha concorso, come rappresentante della Lettonia, al premio Oscar 2014 per il miglior film straniero.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta