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White Tiger

Regia di Karen Shakhnazarov vedi scheda film

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La recensione su White Tiger

di OGM
6 stelle

L’epica in rottami. La leggenda bellica è affidata a bestioni di ferro rantolanti, carri armati che seminano fuoco nel silenzio della campagna russa. In quella desolazione l’atmosfera è sinistra, come si addice ad un luogo in cui si combatte senza sapere perché, contro un nemico invisibile che compare solamente a tratti, come un fantasma: un panzer che sembra immortale e invincibile, e forse è davvero una presenza soprannaturale. I soldati dell’Armata Rossa lo hanno soprannominato Tigre Bianca. E c’è uno di loro, in particolare, che ha giurato di distruggerlo. È un giovane qualunque, che è miracolosamente  guarito dalle gravi ustioni riportate durante un attacco del mostro; ha perso la memoria e non sa più come si chiama, e per questo porta il nome provvisorio di Ivan Ivanovich Naydenov, che significa trovatello. È l’affascinante cornice del romanzo Tankist di Ilya Boyashov, da cui il regista Karen Shakhnazarov trae questo film indeciso tra la  coraggiosa voglia di lottare e l’umiliante tristezza per l’inevitabilità della guerra. Quest’ultima risponde ad una logica che sopravanza la volontà umana, mentre le sue sorti sfuggono al nostro controllo, poiché sono determinate da misteriose entità divine. L’impossibilità di diventare artefici della propria vittoria è racchiusa in quelle battaglie dagli effetti devastanti, nelle quali una forza sovrumana annienta tutto in una manciata di secondi.   È assurdo sperare di sconfiggere uno spettro: è un’idea irreale come il rapporto telepatico che Ivan sostiene di avere con i mezzi cingolati, che sarebbero in grado di parlargli, raccontandogli le loro storie, e rivelandogli in anticipo le loro intenzioni. L’eroismo è un merito illusorio, ed il vero valore militare non appartiene a questo mondo: è una potenza distruttrice che non ha posto nella carne perché i corpi, al contatto con essa, bruciano diventando neri come il carbone. Questo film riprende il realismo incandescente di Va’ e vedi di Elem Klimov per ridurlo ad un minimalismo col fiato sospeso, che si ferma ad un passo dalla trascendenza. Lo scollamento dalla Storia proietta il racconto nella dimensione fantastica dell’orrore senza spiegazione, da cui esso ritorna sulla terra soltanto per ribadire la nostra impotenza. L’epilogo è dato  dalla firma di una capitolazione, e da un Hitler che si scrolla amaramente di dosso la responsabilità di un conflitto che, a suo dire, è scritto nella natura della nostra specie. White Tiger è un macabro ballo in maschera in cui la morte è un concetto astratto, quasi religioso: è la sublimazione della volontà di resistere, anche quando si perde il senso politico della lotta, ed il confronto si trasforma in un gioco dai contorni inquietanti, disputato su un terreno privo di storia, e popolato di ombre senz’anima. Gli occhi si aprono e chiudono, e intanto lo scenario cambia, e nel frattempo i destini si sono compiuti: tutto avviene in un lampo, senza enfasi, senza il tempo di capire da che parte sia arrivata la tempesta. I fotogrammi di questo dramma privo di energia si susseguono, forse, con eccessiva arrendevolezza: il sottotesto è vivo e palpitante, ma troppo debole per lasciare l’impronta sulla superficie fragile di un racconto che cerca, come può, di sopravvivere all’istituzionalizzazione del disincanto e alla fine di ogni retorica.

 

 

Questo film è stato selezionato per rappresentare la Russia agli Academy Awards 2013.

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