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Tom à la ferme

Regia di Xavier Dolan vedi scheda film

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La recensione su Tom à la ferme

di Oss
4 stelle

Il mio è un "voto di protesta", in opposizione non tanto al film, cui avrei dato anche un sei, ma alle altre recensioni. Perché non trovo nulla di più fuorviante dell'affermare che è un film sulla menzogna, o sulla verità disvelata poco a poco. No. E' un film sulla finzione, dove tutti fanno finta di non sapere: regista, personaggi, spettatori. Tutto è chiaro fin dall'inizio, dalla prima scena. Tom non lo dice, sua madre non glielo chiede, ma tutti capiscono che lui era gay, dentro e fuori la pellicola, e le parole vergate sul tovagliolo nei minuti iniziali del film non sono un alibi. In una scena successiva, su sollecitazione della madre che vuole sapere qualcosa della presunta fidanzata di lui, Tom ne racconta le abitudini sessuali, di cosa faceva col suo "cazzo" sulla faccia di lei, suscitando (dentro il film) l'ilarità generale (e fuori?). Il fratello di lui è un violento, di una violenza inaudita, continua e disturbante. Anche qui, tutti lo vedono, dentro e fuori il film, e fanno finta di nulla. Nessuno, ancora una volta dentro e fuori il film, mette in discussione la (in)credibile e patetica versione di Tom, un banale infortunio domestico, per giustificare i lividi sul suo volto procurati dalle botte del di lui fratello. Questa non è menzogna, è finzione! Si finge di non vedere quale ambiente degradato e degradante rappresenti quella persona e la sua intera famiglia. O meglio, non lo vedono i protagonisti e gli spettatori subordinati al politicamente corretto, mentre gli abitanti del posto, giustamente, hanno emarginato un simile spregevole personaggio. E solo un estraneo alla comunità come Tom può finire irretito dalla sua personalità. No, ecco, questa è una menzogna. Solo un estraneo gay. Il film è lodato, psicanalizzato, sviscerato in ogni suo aspetto, perché il protagonista è gay. Non lo fosse, sarebbe solo una ordinaria storia di straordinaria violenza famigliare tale da suscitare l'indignazione (verso colpevoli e complici) o la pietà (verso le vittime) degli spettatori. Ma qui il regista è gay, il protagonista è gay, l'altro è un gay represso, e allora occorre fare aaaaaah, apprezzare la storia, la sua tensione, le sue ambiguità, cercare delle ragioni esistenziali profonde, mentre finzione e violenza la fanno da padrone, e non ci sarebbe altro da spiegare. L'ingresso in scena di Sara, la sua disgustosa ambiguità (perché se non bastano i gay allora occorre raddoppiare la posta e puntare sulla natura bisessuale dei protagonisti), che accresce ancor di più il potere di un uomo violento, violento e ancora violento, nient'altro che violento, rendono ancora, per me, più inspiegabile il fascino di una storia che è solo finzione e lordura.

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