Regia di Xavier Dolan vedi scheda film
La fattoria del titolo è quella dove si reca Tom per il funerale di Guillaume, il suo fidanzato. Sgomento, si rende conto una volta arrivato che la madre del compagno nulla sospetta della sua omosessualità, cosa invece ben nota al fratello Francis. Il quale riempie preventivamente di botte Tom, chissà mai che si lasci sfuggire qualcosa. Attrazione e repulsione condivisa, tra i due, fino all’arrivo di Sarah, la “finta morosa” di Guillaume che aggiunge sale e forse sangue allo schema. Dopo il passo falso di Laurence Anyways («sfarfallio di estetica queer» scrive Marzia Gandolfi; personalmente sottoscrivo) il québécois Xavier Dolan, qui anche interprete nei panni di Tom, realizza il suo capolavoro. Un mélo che non fa prigionieri, immerso nell’inquietante immensità del Canada rurale, spalmata su uno schermo widescreen che si riduce al più opprimente letterbox 1.85 quando la tensione sale e i personaggi sono in trappola. Il formato muta e sanguina in funzione dei battiti del cuore, mentre il rapporto tra Tom e Francis, ai quali si aggiunge Sarah (pure lei mena come un trapper), si impasta di erotismo e violenza in un tentativo disperato di affrontare incomunicabilità ed elaborazione del lutto. Se la madre pare uno spettro fassbinderiano, il respiro thriller è puro Hitchcock, evocato anche dalla superba colonna sonora di Gabriel Yared. Quando Dolan ha diretto Tom à la ferme aveva un anno meno di Orson Welles ai tempi di Quarto potere. Detto tutto
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