Regia di Danis Tanovic vedi scheda film
Nazif e Sedana. Bosniaci. Gitani. Due persone come tante, alle prese con una vita normale, o, meglio, che fatica ad essere tale. La guerra è finita da anni, ma il paesaggio è ancora devastato, e la loro condizione è quella di sempre; è il disagio degli emarginati, degli individui senza istruzione né diritti. Nemmeno quello di veder riconosciuto il servizio prestato sotto le armi: quattro anni in trincea, che a Nazif non hanno fruttato neanche un soldo di pensione. E così l’uomo, disoccupato, si ritrova a dover mantenere due bambine ed una moglie in attesa del terzo figlio, che non può ricevere cure mediche, essendo priva di copertura assicurativa. Quella famiglia sopravvive appena, sia pur con il dovuto decoro, grazie ai metalli che Nazif raccoglie in giro e poi rivende a peso. Con quel lavoro racimola lo stretto indispensabile a soddisfare le esigenze quotidiane, ma che non basta ad affrontare gli imprevisti. Il film di Danis Tanovic ci racconta il modo in cui Nazif e Sedana cercano di risolvere un’improvvisa situazione di emergenza: un giorno, mentre lei è intenta a stendere il bucato, viene colta da forti dolori addominali. Una visita in ospedale accerterà un aborto spontaneo, e la necessità di un delicato intervento chirurgico, il cui costo, tuttavia, è ben al di sopra delle disponibilità economiche della coppia. Il tempo stringe, e per Nazif è impensabile riuscire a procurarsi quella cifra nel giro di poche ore. Questa è una storia nella quale rassegnazione, determinazione e disperazione si mescolano con la forza d’animo e la fantasia della povera gente. La proverbiale arte di arrangiarsi si rivela qui, più che mai, come uno strumento pacifico e creativo, che prescrive un approccio sobrio e paziente ai casi della vita, ed è ispiratore di mansuetudine e solidarietà. Nella piccola comunità del villaggio, come nella cerchia familiare, si cerca anzitutto di sopportare le difficoltà, ma poi ci si dà da fare e ci si aiuta, con piglio deciso, sia pur del tutto privo di rabbia. La risposta alle avversità è ferma, però tranquilla; è circondata da un silenzio che, evitando gli aggressivi contraccolpi del rumore, impedisce al dolore di amplificarsi in strazio, sottraendo le energie necessarie a combattere. In questo film il cinema della verità è un bisbiglio che, pur testimoniando, senza mezzi termini, la disumana crudeltà delle ingiustizie sociali, si rifiuta di alzare la voce, per trasformarsi in un urlo di denuncia. L’infinita amarezza di una vicenda di ordinaria miseria si potrà così chiudere su una nota gioiosa, di semplice gratitudine, per quello che, in altre parti del mondo, è un bene dato per scontato, e che invece, per gli uomini come Nazif, è un piccolo grande regalo, e suona come il ritorno della speranza. Il cinema balcanico è aspro, tiepido, ruvido, quando descrive il degrado, le tragedie, le aberrazioni dei conflitti fratricidi. Non è lo di meno quando, come in questo caso, ritrae un dramma privato che si consuma nell’intimità domestica e, rifuggendo il fragore delle rivendicazioni e dei proclami, si lascia placidamente avvolgere dal senso della dignità e dal calore dell’affetto.
An Episode in the Life of an Iron Picker ha concorso, per la Bosnia ed Erzegovina, al premio Oscar 2014 per il miglior film straniero.
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