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A Trip

Regia di Nejc Gazvoda vedi scheda film

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La recensione su A Trip

di OGM
8 stelle

Che ne sarà di noi. La morte, probabilmente. Perché siamo ancora giovani, ma non siamo più immortali. Tre ragazzi vanno insieme in vacanza. Con l’auto, una tenda e un aquilone. Per loro è un ritorno, dopo alcuni anni, sui luoghi che avevano visto la loro prima evasione adolescenziale. Ritrovarsi è bello ed importante, ma tante cose sono cambiate. Ziva non è più la stessa. Da qualche tempo il suo comportamento non sembra normale. È quello tipico delle donne, solo più strano e più stupido, come lo definisce Andrej. Lui è sempre stato un diverso, un omosessuale preso in giro dai compagni di scuola, e soprannominato Fatass per il suo aspetto corpulento. È il classico perdente, che ce l’ha col mondo intero, e che sul suo cellulare annota, giorno dopo giorno, tutto ciò che non sopporta (l’Orchestra Sinfonica della TV Slovena, la TV Slovena, la Slovenia). Ha lasciato l’università, è senza arte né parte, e si arrangia come può. Gregor, il suo amico di sempre, ha invece preso una decisione estrema. Si è arruolato nell’esercito ed è andato in missione in Afghanistan. I tre protagonisti di questa zingarata hanno già fatto, ognuno a proprio modo, i conti con la vita. E doverlo ammettere è un peso che grava sulle loro anime, una nube plumbea che funesta l’atmosfera. Non c’è allegria in quel tentativo di recuperare, fuori tempo massimo, la spensieratezza che una volta li aveva uniti. Il passato è un momento da seppellire, per tutto ciò che non potrà mai più essere come prima. Ed un segreto da riesumare, per prendere coscienza delle distanze che si creano, tra le persone, i sogni ed i ricordi, mano a mano che l’esistenza procede, e l’età avanza. Vivere significa allontanarsi da quello che si era, e si credeva di poter restare indefinitamente. E scoprire che l’esperienza più dolorosa è essere costretti a superare le proprie paure. Soprattutto quella del nulla, del nonsenso, della fine che uccide gli ideali, che inghiotte tutte le speranze. La bellezza e l’innocenza se ne vanno per sempre, sotto i nostri occhi, e noi restiamo lì impotenti, a guardare quello scempio, che, nella carne, lascia impresso un segno indelebile. Un bambino schiacciato dai cingoli di un carro armato. Un corpo mutilato da un intervento chirurgico. Un cuore spezzato da una terribile rivelazione. Il viaggio, questa volta, non è una fuga, una corsa incontro all’avventura. Quello che i ragazzi trovano, partendo, è soltanto la vecchia immagine di loro stessi: un termine di confronto che spiazza e ferisce profondamente. A conclusione di quel percorso, stare insieme non sarà più un modo per divertirsi, cercando complicità e distrazione. Gli abbracci diventeranno gesti di solidarietà, di consolazione, espressioni di un perdono che nasce dall’immedesimazione, ed è quasi un germoglio d’amore. Una piccola parentesi si apre, amaramente, nelle storie qualunque di tre giovani, che sono avvolte nel silenzio, e che vorrebbero passare inosservate, senza mostrare i propri lati vulnerabili. Ma portarli in superficie è forse il principale scopo di quella strana gita al mare. Dopo, non resterà che una crudele chiarezza. E una rassegnazione capace di legare, in eterno, anche gli esseri irrimediabili diversi. Izlet è, in apparenza, un film come tanti. Però, fra le righe di mille eventi futili e comuni, è davvero intenso come pochi.

Questo film ha rappresentato la Slovenia agli Academy Awards 2013.

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