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Touch of the Light

Regia di Chang Jung-Chi vedi scheda film

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La recensione su Touch of the Light

di OGM
8 stelle

Yu-Siang Huang è un giovane pianista di successo. Ha cominciato a suonare da bambino, con grande passione e molto talento. Si è aggrappato con tutta l’anima alla musica, perché quello era l’unico campo in cui si sentiva davvero capace di fare qualcosa. Tutto il resto, infatti, è precluso, a chi non vede. Siang è cieco dalla nascita; la madre, finora, l’ha assistito in ogni aspetto della vita quotidiana,  Adesso, però, il ragazzo ha l’età per iscriversi all’università, ed è quindi giunto il momento della separazione, che, per lui, coincide con una sfida decisiva:  una prova che gli richiede di rendersi indipendente, ed imparare a cavarsela da solo,  che si tratti di lavarsi i calzini o di attraversare a piedi il campus per andare dal dormitorio all’aula in cui si tengono le lezioni. In questo film, candidato taiwanese agli Academy Awards 2013, il taglio del cordone ombelicale tra madre e figlio è un evento dolcissimo, segnato da un amore che, anziché spegnersi con la lontananza, si accende della luce del dono più grande: la forza che permette di camminare con le proprie gambe e ragionare con la propria testa, senza avere paura di un mondo che appare più che mai oscuro e inafferrabile. L’autonomia, per Siang, è una conquista graduale, compiuta con modestia e senza enfasi retoriche: la gloria rimane, sullo sfondo, come l’ombra di una chimera partorita dalla vanità, immagine di una eccessiva ed inopportuna semplificazione dell’idea della vittoria. Quest’ultima non deve, necessariamente, identificarsi con un’impresa straordinaria che sfoci in un pubblico trionfo, perché i traguardi veramente importanti sono quelli covati segretamente nel cuore ed  inseguiti avendo solo se stessi come giudici e spettatori. Per Siang, ciò che conta è poter suonare, nel modo che più gli piace, ed insieme alle persone con le quali si sente maggiormente in sintonia: non un complesso di artisti di fama, o di aspiranti tali, bensì la sgangherata combriccola dei suoi compagni di studio, che eseguono melodie facendo versi con la bocca o strimpellando il violino come se fosse una chitarra. Il successo è arrivare a realizzare il proprio sogno individuale, che è tanto più prezioso quanto più è originale, tagliato su misura indosso a chi ne è portatore, oltre che indifferente alle logiche comuni. Jie può fallire un provino per l’ammissione in una compagnia di ballo, ed essere comunque contenta di averci provato, certa di aver dato il meglio di sé, rispondendo perfettamente ai richiami della sua voce interiore. L’amicizia tra Siang e Jie nasce da una coppia di frustrazioni che si specchiano l’una nell’altra: non poter toccare la realtà con gli occhi, e non poterla accarezzare con i movimenti della danza. L’aria, per entrambi, inizialmente è solo sensibile ai caotici rumori di un universo sovraffollato e paranoico, che si affanna futilmente come i clienti che accorrono al bancone di una rivendita di bibite, o come una casalinga affetta da shopping compulsivo.  Per recuperare l’armonia, occorre rifugiarsi nel silenzio, ed ascoltare con dedizione ed umiltà l’eco delle proprie emozioni, che può diventare poesia ritmica o melodica: una grazia invisibile, però intensa come le vibrazioni meccaniche che produce. Con Touch of the Light,  il regista Rong-ji Chang  - che qui firma il suo primo lungometraggio a soggetto – ci regala la storia di un palpito che, cautamente, si guarda intorno alla ricerca della propria strada, e infine la trova, contorta, accidentata, forse mai battuta prima, eppure abbastanza larga da ospitare il percorso comune di due anime che si credevano perse.

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