Regia di Darko Mitrevski vedi scheda film
Le partite più importanti hanno anche un terzo tempo. Quello in cui ci si gioca tutto, perché il calcio comincia a diventare il punto di partenza di una sfida per la vita. È accaduto a Skopje, in Macedonia, nel 1941. All’ombra di un conflitto mondiale già degenerato in una disumana guerra contro i deboli, i diversi, i popoli più indifesi, una piccola squadra locale, guidata da un trainer tedesco con una stella di David cucita sulla giacca, riesce a sovvertire le leggi del mondo, secondo cui un pollo non può battere un’aquila. Quella battaglia è la prosecuzione morale di una storia iniziata come un festa romantica, in cui due giovani, tanto lontani per estrazione sociale ed appartenenza culturale, scoprono per caso di essere fatti l’uno per l’altra. Lei è Rebecca, appartenente ad una ricca famiglia ebrea di origine spagnola, lui è Kostadin, un ragazzo di umili condizioni che sogna di diventare un asso del pallone. La loro unione è duramente contrastata dal padre della ragazza, ma ben presto l’amore riesce ad imporsi, seguendo il naturale corso delle passioni genuini e profonde, indifferenti a tutte le squallide divisioni. Il loro legame, vissuto di nascosto, dentro un casotto fatiscente nei pressi dello stadio, è l’unico punto fermo in un momento in cui le alleanze si formano e si sciolgono in maniera subdola e imprevedibile, seguendo le regole della convenienza e dell’odio. Intanto le truppe bulgare avanzano nei Balcani, presentandosi inizialmente come forze liberatrici dal giogo serbo, ma poi rivelandosi null’altro che un avamposto del Terzo Reich, mirante a riprodurre, in quella regione, lo stesso regime autoritario, antisemita e razzista. Un orrore inspiegabile arriva a sovrapporsi, come una nube nera e soffocante, allo spirito sportivo. L’ideologia si mescola con il sudore e la polvere del terreno di gioco, dando luogo ad un impasto sinistro, che frena il sano entusiasmo della competizione, disciplinandolo secondo i grotteschi riti di obbedienza al potere, ed assoggettandolo ai meschini compromessi dettati da una politica ricattatoria. Ad un certo punto, conseguire la vittoria sul campo significa salvarsi, nel corpo e nell’anima. Significa mantenere la propria integrità, senza ricorrere alla connivenza e al tradimento della propria gente. Ognuno deve inventarsi il modo più adatto per farlo: il portiere, il goleador, l’allenatore. Ogni ruolo suggerisce una scelta diversa, che, però, deve riuscire a combinarsi con le altre. La strategia vincente è la somma ordinata di tanti singoli, fantasiosi eroismi. Quelli che si trastullano con le metafore innocenti (un ferro di cavallo nascosto in un guantone da boxe, come in un celebre film di Charlie Chaplin), e quelli che si sporcano le mani col sangue dei nemici. Le regole, come insegna Rudolph Spitz, si possono allargare. In quel nuovo margine c’è posto per tutto, dal fallo di simulazione alla trappola mortale. La gravità della situazione determina, di volta in volta, l’estensione dello spazio di manovra. La lotta decide la misura. Senza porre limiti al dolore.
The Third Half ha rappresentato la Repubblica di Macedonia agli Academy Awards 2013.
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