Regia di Antonio Margheriti vedi scheda film
Un manipolo di soldati americani è in missione nel sud-est asiatico: deve distruggere una piantagione di oppio che produce enormi quantità di droga. A capo della spedizione c'è un ufficiale il cui figlio è morto per droga, motivazione che lo incattivisce ulteriormente; sul posto gli stranieri trovano ampia collaborazione da parte di mercenari locali, che hanno in odio il padrone-sfruttatore di tutto il mercato d'oppio del Paese.
Niente e nessuno potrebbe rivalutare completamente Arcobaleno selvaggio, che della sua dimensione di b-movie fa esplicitamente un vanto; eppure ci sono molti elementi in questa pellicola che portano a considerarla qualcosa di meglio che una pur riuscita imitazione a basso costo dei film d'azione americani coevi. Innanzitutto il budget non è poi così ridotto, anzi: gli scenari sono effettivamente esotici (il film risulta girato a Hong Kong) e il cast pullula di nomi di richiamo internazionale, fra i quali spicca senz'altro il tris d'assi composto da Ernest Borgnine, Lee Van Cleef e Klaus Kinski (ma nel cast ci sono anche Mimsy Farmer e Lewis Collins). Ma non va sottovalutato il fatto che la sceneggiatura di Tito Carpi e del produttore Gianfranco Couyoumdjian rimane fermamente ancorata a stereotipi del cinema 'di genere' impossibili a evitarsi (a non essere avvertiti) per lo spettatore, con esagerazioni, spacconerie e momenti patetici di dubbio gusto (d'altronde ok, non è che Rambo o Indiana Jones fossero opere dalla profonda morale), come per esempio il fattore "figlio ucciso dalla droga - vendetta personale" che lega a doppio filo il protagonista alla sua missione. Una cosa è comunque certa: quando c'è Antonio Margheriti dietro la macchina da presa, l'azione e il ritmo sono sempre predisposti a puntino, meccanismi a orologeria per l'intrattenimento del pubblico. In un cinema italiano in spaventoso declino (e in un cinema di genere in estinzione), francamente non è poco. 3,5/10
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