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Quinto potere

Regia di Sidney Lumet vedi scheda film

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La recensione su Quinto potere

di tafo
7 stelle

Siamo più Beale o Schumacher? Film dal ritmo forsennato che distrugge tutto quello che incontra.

La contrapposizione tra i due vecchi colleghi è forse la chiave del film, nel senso della loro diversa reazione rispetto ad un ambiente che non riconoscono più. La televisione è stata per entrambi luogo di lavoro fin dagli albori del mezzo, dove la lotta dei network era meno spietata ma legata sempre alla logica privata del profitto e degli ascolti  e non certo alla logica pubblica dei media europei. Pur avendo condiviso la stessa passione di vita il loro tempo sembra scaduto, la loro generazione aveva fatto la televisione anche se non era nata con la televisione, i nuovi arrivati sono nati con la televisione prima di farla. La differenza appare decisiva nel senso che quest’ultimi hanno un pubblico che vede nella voce del mezzo la verità assoluta. La loro unica e primaria fonte di cultura rimane il tubo catodico e la voce del tele-predicatore di turno diventa profetica e messianica molto facilmente. Howard Beale sta per essere accantonato non lo segue più nessuno fa parte di un mondo antico, tanto che la sua minaccia di uccidersi davanti allo schermo passa quasi inosservata tra i colleghi. Il nostro ormai sta cambiando non è più il compassato elencatore delle notizie del giorno ma diventa sempre più lo smascheratore dell’inganno quotidiano. Gli spettatori sembrano gradire questa tv urlata che sbatte in faccia di chi guarda come funziona la nostra società e come siamo schiavi del sistema. Max Schumacher decide che è meglio tirarsi fuori da questa corsa, decide di mantenere un contatto con la realtà oltre lo schermo, la relazione sentimentale con la collega più giovane e invasata rimane come ultimo residuo legame con il suo  mondo professionale. Capace ancora di provare sentimenti e di rompere i legami familiari capisce che la sua collega non prova le stesse cose troppo presa dal lavoro che si porta pure a casa. Quest’ultimo rappresenta il diritto dei sessantenni e oltre di oggi di rifiutare o limitare  i moderni mezzi sociali di comunicazione, mantenendo un atteggiamento di ignoranza di tali strumenti data dalla distanza generazionale. Il suo collega invece accetta di fare il pagliaccio mediatico pur di sopravvivere almeno finché il pubblico lo seguirà. 

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