Regia di Peter Jackson vedi scheda film
All (good and bad) things must came to an end.
Parafrasando, ma non troppo, un altro ambito (seriale) incentrato anch’esso sulle insidie del potere, il sipario scende anche sulla Terra di Mezzo.
Ci si accommiata quindi anche da tutti i personaggi della seconda trilogia, quasi tutti malamente sviluppati e rappresentati, ma indubbiamente circondati da un affetto osmotico trasudato dall’amore dei tanti appassionati di Tolkien, che hanno trovato in Peter Jackson un (non sempre) fedele traspositore in immagini dei voli pindarici della “fantasia” ragionata dello scrittore. Ma, soprattutto, il regista è senz’altro riuscito a lasciare il proprio segno indelebile anche nella fantasia collettiva di più generazioni di spettatori (chi mai riuscirebbe più ad immaginare un Legolas o un Aragorn con fattezze diverse dagli attori che ne hanno interpretato le parti cinematografiche ?) in un arco temporale di quasi un quindicennio (A.D. 2001, anno d’uscita de “La Compagnia dell’Anello”).
Il capitolo finale recupera finalmente un po’ di smalto rispetto al mediocre (per chi scrive) predecessore, guadagnando in ritmo ciò che quest’ultimo traduceva in staticità emotiva (noia, in parecchie circostanze) e sfiancante ripetitività. Le due linee narrative principali (la lotta con Smaug e il ritorno di Sauron) trovano “coraggiosamente” presto soluzione, la prima addirittura anteriormente al titolo di apertura, e lasciano ampio spazio agli eventi conseguenti alla presa della montagna solitaria da parte di Torin e dei suoi compagni.
Dove scopriranno che, spesso, un desiderio frustrato (e per questo sognato e idealizzato) è molto meglio della sua realizzazione.
La sufficiente armonia scenica, dicevamo, salva questo film dal naufragio: le lunghe fasi di combattimento non brillano certo di luce propria e spesso sono ripetitive (estenuanti numericamente i discorsi di incitamento proferiti, a turno, dai vari personaggi principali durante le fasi di lotta), alcune lasciano troppo spazio a personaggi e situazioni non essenziali (Legolas e le inopportune, stupide e lunghe sue acrobazie da “videogame” durante il parimenti spossante scontro con l’orco Bolg), ma sono a più riprese avvincenti e caratterizzate da una discreta vena drammatica, totalmente assente nei due film introduttivi.
Si paga comunque un pesante pegno di inadeguatezza rispetto all’inarrivabile convitato di pietra (la precedente trilogia), sia per resa generale che per personaggi (e attori che li interpreta[va]no), confermando che la decisione inziale di Jackson di limitarsi ad un dittico sarebbe stata la più giusta. Tenuto conto di ciò, la prolissità palese del tutto (soprattutto del lavoro centrale) lascia sorprendentemente in sospeso alcune situazioni (che fine ha fatto l’Arkengemma ?) ed il destino di alcuni personaggi (Alfrid), esiti probabilmente presenti nella versione integrale, senza toccare per fortuna gli apici di assurdità della c.d. “sparizione di Saruman”, la cui sorte, tagliata in fase di montaggio finale, rappresenta l’unico difetto dell’altrimenti notevole “Il ritorno del Re” del 2003 (chi non avesse mai visionato la versione integrale può godersi gli essenziali 5 minuti qui: https://www.youtube.com/watch?v=WR6ltPp-o5w).
Una fine probabilmente agognata da parecchi interpreti (palese la “stanchezza” fisica e interpretativa di Ian McKellen) o rimpianta da altri (Orlando Bloom, Evangeline Lilly), che si spera definitiva, nonostante la comprovata convenienza economica di eventuali ulteriori adattamenti dell’ampia produzione dello scrittore inglese.
Perché, come diceva il saggio, il prequel di un capolavoro andrebbe fatto prima.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta