Regia di Peter Jackson vedi scheda film
Resa dei conti nella Terra di Mezzo.
Anche se per l’ordine cronologico degli eventi non sarebbe corretto affermarlo, si arriva al capolinea della dimensione fantasy più seguita di sempre, si chiude il cerchio (per sempre? Probabilmente sì, ma mai dire mai in questi casi) con un po’ di affanno anche se l’intrattenimento che ci si aspetta è ampiamente garantito.
Purtroppo la lontananza dai vertici de “Il Signore degli anelli” rimane ancora una volta notevole, per il respiro epico, per le battaglie e per tutto ciò che viene manifestato dai vari personaggi impegnati (ad esempio il Bard di Luke Evans vale poco rispetto all’Aragorn di Viggo Mortensen).
Una volta entrato in possesso dell’oro del drago Smaug, Thorin (Richard Armitage) perde il senno generando l’ira degli elfi e degli uomini che chiedono solo ciò che era stato pattuito a suo tempo.
Mentre la disfida tra queste fazioni pare essere ormai prossima, un pericolo maggiore è alle porte, con gli orchi decisi a sconfiggere tutti sul campo.
Ancora una volta, nel bene e nel male, l’hobbit Bilbo Baggins (Martin Freeman) avrà un ruolo fondamentale.
Quando finisce una vicenda che ti ha tenuto partecipe per dieci anni abbondanti basta poco per farsi prendere all’amo.
Questo ultimo capitolo de “Lo Hobbit” completa la sensazione complessiva che questa seconda trilogia abbia diverse mancanze, a partire dalla divisione degli atti con il drago Smaug lasciato in sospeso nel precedente episodio quando poteva direttamente chiudersi lì la sua presenza.
Un problema legato probabilmente al minutaggio (già così questo è comunque il film più breve tra i sei) che considerando tutto complessivamente poteva essere ovviato in altri modi.
In ogni caso basta un attimo per sentire il respiro bollente del drago, poco di più per vederlo soccombere e subito dopo può partire il vero succo di questo episodio con le fazioni pronte a sfidarsi in una lunga battaglia che fa sfoggio dei migliori effetti disponibili, sia per le scene di massa, sia per la quantità, e qualità grafica, delle creature coinvolte.
Thorin è il vero protagonista con la sua “malattia” ed il suo ravvedimento eroico (già solo con gli occhi Richard Armitage la tratteggia con espressività), Bilbo è come il prezzemolo (e Martin Freeman con i suoi modi british funziona alla grande), Gandalf rimane purtroppo assai meno partecipe, qualche comprimario aggiunto a forza come Tauriel (non per colpa di Evangeline Lilly intensamente melodrammatica) e pure il Legolas di Orlando Bloom, in questo caso per il suo trucco tremendo, non contribuisce quanto si sarebbe auspicato.
Ma come già anticipato, pur rimanendo distanti da “Il Signore degli anelli” (questo a partire dall’organizzazione di tutta la battaglia cardine), rimane un fantasy di grande fascino ed alla fine è proprio quando le acque si placano (saggia scelta circolare), con la deriva emozionale che genera un sentito rewind totalizzante, che non si può fare a meno di lasciarsi andare e gioco forza la voglia di ripartire laddove tutto cinematograficamente è incominciato diviene fortissima.
Si chiude così una pagina di cinema che ha coinvolto grandi e piccini, cinefili e non, il meglio era già stato dato, ma l’affetto è quasi inevitabile (anche nei confronti di Peter Jackson chiamato adesso a non rimanere imbrigliato in questa lunghissima avventura) al netto di difetti sparsi più legati (ma non esclusivamente) al paragone originario che ad altro anche se probabilmente aver girato tutto insieme in questo caso è stato più un aiuto economico che un qualcosa utile alla riuscita generale.
Un dolce addio dopo tante avventure.
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