Regia di Manlio Scarpelli vedi scheda film
Dal fratello di Furio Scarpelli, leggenda della sceneggiatura all'italiana, era logico attendersi qualcosina di più. Questo prodottino striminzito in quanto a budget e ancor meno dotato a livello di idee è semplicemente l'ennesimo copia-e-incolla di storielle pruriginose ambientate in contesto popolare medievale, fra spudorate cornificazioni e sberleffi ai potenti e alla religione. Dopo il Decameron pasolinano (1971) per non più di un paio di anni visse la sua fortunata (ma solo al botteghino) stagione il 'decamerotico', genere-degenere in cui le uniche attrattive sullo schermo erano le nudità delle attrici protagoniste e la morbosità delle novelle raccontate. Qui il cast è sensibilmente povero, con ruoli affidati a interpreti anche parecchio scadenti e, nel novero dei volti più conosciuti, nomi come quelli di Adriana Asti, Piero Vida, Tiberio Murgia, Carla Mancini, Salvatore Baccaro e Giacomo Rizzo. La fotografia - piuttosto tirata via come tutto quanto il prodotto - è di Aristide Massaccesi/Joe D'Amato; per Scarpelli questa è la seconda e ultima regia cinematografica. 1,5/10.
Film a episodi. Novelle licenziose descrivono lo sfacelo morale e la lussuriosa vita di un paese toscano medievale, fra suore libertine, fabbri permissivi con le allegre mogli e popolani rozzi il cui unico chiodo fisso è il sesso.
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