Regia di Stuart Beattie vedi scheda film
Nella costante centrifugazione di miti letterali e cinematografici, la conta di morti e feriti ha raggiunto dimensioni preoccupanti. I, Frankenstein rientra a pieno titolo in questa esecrabile lista, un pasticcio che mette insieme tutti i difetti pensabili distruggendo un’icona a suon di effetti speciali a discapito di una qualunque formulazione di pensiero.
È ormai trascorso parecchio tempo dalla sua creazione quando Adam (Aaron Eckhart) è, suo malgrado, coinvolto nell’infinita guerra tra demoni e Gargoyle.
Wessex (Bill Nighy) ne ha bisogno per portare a compimento un piano diabolico, mentre Leonora (Miranda Otto), la regina dei Gargoyle, confida nel suo aiuto per vincere il conflitto. Nel mezzo, anche l’affascinante scienzata Terra Wade (Yvonne Strahovski), con la quale Adam verrà in contatto.
Derivato dall’omonima graphic novel di Kevin Grevioux, I, Frankenstein presenta nel titolo un nome altisonante, ormai conosciuto anche dai sassi, utilizzato come specchio per le allodole.
Per gli spettatori della prima ora, il trucco funziona, mentre con il tempo occorre possedere un istinto autolesionista per incapparci, considerando quanto se ne parlò male, con annesso flop, al tempo della sua uscita in sala.
La prima caratteristica che balza all’occhio è l’invadente utilizzo del digitale, che produce un effetto posticcio tale da rendere tutto ancora più falso di quanto già non sia come principio.
Oltre che massicce, le digitalizzazioni sono pure di rara bruttezza, plastificando ogni cosa. Non che la trama potesse apparire molto più spigliata, con la sua stereotipata guerra tra forze del bene e del male (con annesso il terzo incomodo), ma così le scenografie stesse diventano piatte e pure le creature, che di loro già non soddisfano la fantasia sempre più esigente, sono preda di trasformazioni di pessima realizzazione.
In una struttura telefonata, su uno sfondo pesantemente (e mal) artefatto, Aaron Eckhart è un disastro, Miranda Otto è spaesata, Bill Nighy è completamente fuori posto, mentre la sola Yvonne Strahovski, con la sua gradevole presenza, rilascia scampoli di beltà (sarà perché è l’unico essere umano oltre le apparenze?).
Così, tra spiegazioni udite centinaia di volte altrove, la quasi totale mancanza di riflessioni sulla natura dei soggetti in causa e un finale che, per quanto possibile, riesce a offrire il peggio (una lunga manfrina per un duello finale risolto con allarmante facilità), I, Frankenstein assume la forma di una sciagura, un film avventato e minaccioso - cercando nuove albe che non vedranno mai la luce - del quale non si capisce la ragion d’essere.
Un’inguardabile e irriguardosa cafonata.
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