Regia di Stuart Beattie vedi scheda film
Guardando “I, Frankenstein” mi sono chiesto: ha davvero senso giudicare questo film alla luce del capolavoro di Kenneth Branagh e a quello di James Whale? Ha veramente una logica evidenziare le differenze abissali tra la tragicità e complessità del personaggio proveniente dal romanzo di Mary Shelley con quello interpretato da Aaron Eckhart?
Penso che chiunque osi marcare simili differenze sia tanto sprovveduto quanto colui che, guardando questo film, gridi al capolavoro. Perché è lontano anni luce dall’esserlo, né ha probabilità di diventare in futuro un cult movie.
Eppure è un prodotto per nulla disprezzabile.
Segue la tendenza attuale (e se è diventata una tendenza vuol dire che un motivo ci deve essere) di aggiornare i mostri classici (e, vien da dire, sacri) al modello odierno del popcorn movie che li vede interamente spogliati della loro aura tragica e invece prevalentemente virati all’azione fatta di proiettili ed esplosioni (vedi “Van Helsing” e la saga di “Underworld”).
Certi film vanno presi come spassose cialtronaggini, come divertissements e basta. Aspettarsi qualcosa di più sarebbe irrispettoso e illogico.
Lo spettacolo qui c’è, la trama è volutamente e spassosamente sopra le righe (ripete schemi già visti ed è elementare, d’accordo. Ma tutti sanno che qui non c’è Christopher Nolan dietro alla macchina da presa), la breve durata è funzionale al tutto e gli scenari gotici di indubbio impatto.
Inoltre non è volgare (e per il cinema di oggi è già un grosso risultato), né attraversato da quella stupidità imbarazzante che rende ad esempio inguardabile “R.I.P.D.” (2013).
A tratti teneramente trash, senza inutili ed esagerate ambizioni, è un popcorn movie consapevole di questo suo fine ultimo. E per tale motivo onesto.
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