Regia di Jean-Luc Godard vedi scheda film
Probabilmente la migliore occasione mai sprecata da Godard, che costruisce un personaggio interessantissimo (una ragazza piccolo borghese che va incontro a una progressiva degradazione, finisce per fare la prostituta e rimane uccisa in uno scontro a fuoco quando cerca di uscire dall’ambiente) e poi fa di tutto perché lo spettatore non si appassioni alle sue vicende, spezzettando la narrazione e adottando uno stile freddo e distaccato, lontanissimo dal precedente La donna è donna. Credo che il problema sia nelle intenzioni di partenza: il regista ha voluto trasferire al cinema ciò che Zola aveva teorizzato per il romanzo (la protagonista, allusivamente, si chiama Nanà), ossia il canone dell’impersonalità e l’opera d’arte come un esperimento scientifico. Non è un caso che il film sia basato su un’inchiesta giornalistica: cerca di riprodurne il tono oggettivo, ma così facendo perde in calore umano (il che, per inciso, è anche il motivo per cui Zola non è Flaubert). Come risultato, la sua visione emoziona quanto la dimostrazione di un teorema matematico; e non basta una furtiva lacrima nel buio di una sala cinematografica per cambiare le cose.
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