Regia di Joon-ho Bong vedi scheda film
In un cavolo di treno che corre in beata solitudine girando di continuo intorno alla Terra già congelata dal tentativo maldestro dell'uomo di opporsi al riscaldamento climatico globale (certo che... il pretesto della sceneggiatura fa quasi morire dal ridere!), due non coraggiosi (forse anti) eroi tentano di risalire la lunga carovana di vagoni, dal fondo ove si trovano, feccia essi stessi medesimi, con la parte più disgraziata dell'umanità fino alla testa dove, ben difeso tra gli altri anche dalla solita Tilda Swinton (attrice abbonata ai lavori ed alle simpatiche “perversioni” che il Bong Joon le riserva, qui trasfigurandola per esempio in versione "Dentoni"), il Capo dei Capi del Mondo, Fottuto Straricco Cattivo, che si gode una location che sinceramente, vista da fuori, pur in un vagone di Business Class era molto difficile da immaginare. Scopo: naturalmente fare giustizia.
Prima di esplodere con il palmadorato, splendido "Parasite", è evidente, Bong Joon Ho si divertiva molto a cazzeggiare. Non che non lo abbia fatto anche col film vincitore a Cannes, ma cazzeggiava in maniera molto più grezza ed infantile. Anche banale, direi, se pur le doti tecniche di cui dispone lo abbiano sempre messo al riparo quanto meno dal ridicolo. Questo "Snowpiercer" lo sfiora (il ridicolo), ed i Santi Princìpi che muovono tutti i suoi eroi e non eroi (come la piccola contadinella di "Okja") sono sempre subissati da una prolissità pesante ed inspiegabile (un film come questo che debba durare più di due ore, sinceramente, è un vero autogol), e danno sempre la voglia non solo di dimenticarsi presto del film in questione (vale anche per "The Host"), cosa che avviene solo a titoli di coda esauriti, ma ci fa agitare in poltrona, a tre quarti film circa, nella spasmodica attesa che ci si dia un taglio, e che tutto ciò che è già stato detto si concluda con un po' più di scioltezza. E' come se al regista coreano mancasse un po' di fiducia in se stesso, come se in tutti quei fotogrammi di troppo cercasse la conferma di aver detto tutto, ma tutto tutto, di essersi fatto capire proprio bene bene. Ecco: con "Parasite" Bong Joon finalmente saprà liberarsi di questa piccola, grande crisi artistico-identitaria, e imparerà ad impiegare meglio il suo tempo e quello del suo pubblico, senza rigirarsi troppo di qua e di là come un insonne stressato ed ansioso, e ad imporre ai suoi (anche miei, spero) Sani Princìpi che sa così bene mettere in scena.
Sì, perché i Cow Boys di Bong Joon Ho sono cow boys veri, e sinceri, anche quando non sanno bene da che parte prendere la mira (ricordate gli attivisti/animalisti incarnati da Paul Dano in “Okja”?), o anche quando, come nel caso del protagonista di “The Host” sono imbranati e strabici manco fossero Clint Eastwood ne “Gli Spietati”, ma finiscono sempre per sembrare buffi, un po’ finti, troppo di qualcosa, fino ad auto sminuirsi in caricature a volte noiose.
E, a proposito di Cow Boys, sarei proprio felice di vedere un giorno, ora che forse Bong Joon Ho pare abbia raggiunto una maturità tutta da confermare, un suo film western, magari con Tilda Swinton truccata da uomo nei panni di uno sceriffo corrotto: potrebbe essere una vera sorpresa!
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