Regia di Joon-ho Bong vedi scheda film
Il soggetto si basa sul romanzo a fumetti (graphic novel) francese Le Transperceneige, concepito da Jacques Lob, Benjamin Legrand e Jean-Marc Rochette. A detta di molti si sarebbe al cospetto di un capolavoro (o quasi) della fantascienza moderna, ma a mio parere si potrebbe a ragione frenare l'entusiasmo, moderare l'eccesso di esaltazione e ridimensionare il risultato. Anzitutto temo che la visione sia caldamente sconsigliata a chiunque non fosse disposto a rinunciare alla forza del pensiero, alla logica e alla coerenza. Come in un sogno, o meglio un incubo, infatti, l'insieme non potrebbe mai reggere a un'indagine attenta di una mente scrupolosa abituata a porsi troppe domande. L'implausibilità, ancor più dell'irrazionalità, è prerequisito inevitabile. Non si attendano invano spiegazioni che mai giungeranno. Meglio rinunciare in partenza, risparmiarsi l'insistenza e arrendersi all'idea di restare senza risposte, perché evidentemente non era questo l'intento. Abbandonarsi a tali semplici regole è l'unica speranza di poter riuscire ad apprezzare un racconto costruito a incastro d'influenze e suggestioni, saturo di simbolismo e forse persino di allegoria. Ciascuno di noi noterà riflesso un frammento di vissuto, di già visto altrove, perché gli archetipi sono comuni a numerosi progetti a sfondo distopico. I temi sono poi sempre quelli della bestialità umana, della banalità del male, dell'atrocità della dittatura, della rinascita in un nuovo inizio. Con un tocco di ambientalismo e di critica sociale che non guasta. Il cast convince. Lo schema regge e trascina per buona parte, eccetto alcuni momenti superflui, scadenti, ridondanti o involontariamente comici (come l'avversario immortale, manco fosse un boss da videogame!), sino a una conclusione non in toto di mio gusto, al contrario dell'ottimo pre-finale in cui l'ambiguità mescola la menzogna e manipola la verità in un unicum indistinguibile. Peccato che prima (e dopo) ci si dilunghi e ci si dilati oltremisura, dando così ulteriore spazio all'irritazione del non essere poi in grado di trovare un senso impossibile.
2031. Dopo il fallimento di un esperimento per contrastare il riscaldamento globale, una vera e propria Era Glaciale stermina tutti gli abitanti del pianeta. Gli unici sopravvissuti sono i viaggiatori che hanno lottato con tutte le loro forze per procurarsi un biglietto e aggiudicarsi un posto a bordo dello Snowpiercer, un treno ad alta velocità che compie il giro del mondo e trae energia da un motore in moto perpetuo. Essendo l'unico mezzo che garantisce la sopravvivenza, esso diventa un microcosmo di società umana diviso in classi sociali: i più poveri stipati nelle ultime carrozze; i più ricchi nei lussuosi vagoni anteriori. La difficile convivenza e i delicati equilibri non potranno che sfociare inevitabilmente verso lotte e rivoluzioni.
Sua è la responsabilità artistica e tecnica tanto di una conduzione accattivante quanto di qualche eccesso di ambizione non completamente corrisposto dalla sceneggiatura, essa pure di suo pugno.
Curtis Everett. Potrebbe essere uno dei ruoli finora più maturi della sua carriera. Sarà stato lieto di recitare senza essere costretto, per una volta, a mostrare il proprio fisico pretestuosamente.
Namgoong Minsu. Ho motivo di reputarlo il personaggio più intrigante, nonostante i difetti.
Yona. Indeciso se amarla o odiarla, è prevalsa l'antipatia. S'immagini la mia gioia all'epilogo.
Edgar. Bravo. Ha inoltre le battute più in sintonia col probabile stato d'animo dello spettatore.
Gilliam. Nessuna difficoltà per lui, dato il profilo classico del vecchio mentore.
Mason. Talmente perfetta che è impossibile non detestare la sua viscida e irritante figura.
Tanya. Sfrutta a dovere lo spazio che le è concesso, lasciando il segno.
Wilford. Conferisce il suo caratteristico essere glaciale. Impeccabile, seppur di breve durata.
Non me la ricordo proprio. La ragione potrebbe essere la mia focalizzazione su altri aspetti. Oppure stavolta le musiche di Marco Beltrami erano troppo ordinarie per risaltare con incisività.
Avrei preferito un minimo di verosimiglianza in più. E il finale non mi ha soddisfatto appieno.
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