Regia di Joon-ho Bong vedi scheda film
Tutta l’umanità superstite della Terra, nel 2031, è a bordo di un treno che non va da nessuna parte: gira intorno al mondo, semplicemente, da 17 anni. Lo Snowpiercer è attrezzato per sfondare i blocchi di ghiaccio che intrappolano il globo in un’era glaciale capace di azzerare secoli di evoluzione, ma non di appianare le differenze sociali: come su un Titanic inaffondabile, chi ha comprato il biglietto di terza classe è abbonato col posto in piedi, in vagoni oppressi da fame e miseria dickensiane, mentre i fortunati passeggeri delle carrozze di testa si intrattengono in un party sempiterno e istruiscono i pargoli al monoteismo del Treno. La locomotiva è lontana anni luce, per i poveracci della coda, eppure il motore sono sempre loro: in questa ludica e acuta metafora sferragliante sui binari, la lotta di classe si sposta orizzontalmente verso i vertici, un vagone dopo l’altro, con la furia della disperazione. Curtis, eroe proletario e condottiero suo malgrado, riceve da un misterioso aiutante messaggi criptati e munizioni tramite le disgustose barrette proteiche di cui gli ultimi sono costretti a cibarsi, e si decide infine a partire col suo esercito di riottosi in marcia verso il motore pulsante dello Snowpiercer. Per portare sul grande schermo questa distopia potente, Bong Joon-ho sfrutta con perizia fulminante e visionaria le due rischiose “gabbie” che eredita dal materiale di partenza: quella del fumetto da cui il film è tratto e quella, anche più rigida, del convoglio, costituito da una serie di singoli set (ricostruiti in studio a Praga) che scandiscono meccanicamente l’azione. La macchina da presa si muove con libertà inaudita negli spazi ipertecnologici ma angusti del treno, facendosi espressione della forza propulsiva dei passeggeri di coda: come un ariete che sfonda le porte dei vagoni, la regia di Bong elude le costrizioni in cui i suoi personaggi si muovono. L’intrattenimento sfreccia senza freni, spettacolo adrenalinico il cui carico politico pare lampante fin dal principio, ma si dipana per rivelazioni progressive, una carrozza per volta, fino a giungere al cuore nerissimo e schiavista della locomotiva, al senso stesso della rivoluzione. È col suo finale, più gelido di qualsiasi coltre innevata, che Snowpiercer abbatte i confini del cinema di genere per mostrarci il capolinea dell’umanità: il paradosso ineluttabile del progresso che si poggia sullo sfruttamento, la macchina che deve alimentare se stessa, al prezzo di vite sempre sacrificabili.
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