Regia di Joon-ho Bong vedi scheda film
Dalla Corea, a bordo del suo treno, Bong Joon-ho raggiunge il resto del mondo, portando sul grande schermo quella che potremmo definire l'opera della consacrazione internazionale del regista sudcoreano.
Annunciato come il capolavoro che "lascerà il segno come Blade Runner e Matrix" (certi accostamenti, a mio parere, fanno realmente rabbrividire) e tratto dalla seria a fumetti francese Le Transperceneige di Jean-Marc Rochette e Benjamin Legrand, Snowpiercer (che con 38,2 milioni di dollari diventa la produzione coreana più costosa di sempre) è un viaggio apocalittico e leggendario che prova ad unire il grande cinema d'intrattenimento alla grande opera d'autore.
La prova, decisamente ardua, sembra però non spaventare troppo il nostro Bong.
2031. A seguito di una nuova era glaciale, l'umanità si è quasi totalmente estinta. L'ultimo gruppo di superstiti viaggia all'interno dello Snowpiercer, un treno in continuo movimento attorno alla terra. Al suo interno, un preciso schema sociale: ammassati, nella coda, i più poveri; nei vagoni anteriori, invece, le classi più abbienti.
Le insostenibili condizioni e i continui soprusi da parte della "testa" del treno, porteranno la "coda" capitanata da Curtis alla rivolta e al tentativo di scalata, e conseguente conquista, della locomotiva, per istituire il nuovo ordine sociale.
È il motus, il movimento, ciò che sta alla base di questo Snowpiercer. È un continuo incedere che vuole spingersi oltre i limiti (di genere e di forma) per dare (nuova) vita alla tradizione cinematografica del racconto fantascientifico.
L'apocalisse visiva di Bong Joon-ho si gioca tutta all'interno del treno che, ad un livello strettamente superficiale, sembrerebbe procedere saldamente nel suo folle tragitto. Gli ingredienti ci sono tutti: combattimenti mozzafiato in ralenti, grandi effetti speciali, momenti di alta tensione e grandi frasi ad effetto. Il tutto è poi abilmente inserito all'interno di un lungometraggio che, nelle sue due ore di durata, riesce a mantenere i nostri sguardi fissi sul grande schermo.
Insomma, l'intrattenimento è assicurato e, da questo punto di vista, non c'è veramente niente da rimproverare al buon Joon-ho.
Perché si possa reggere fermamente sui suoi binari, però, il treno (il film) non deve solamente assicurarsi di avere solide basi per la partenza; deve preoccuparsi dell'intero percorso, cercando di evitare un eventuale sovraccarico.
La locomotiva di Bong, infatti, con il passare del tempo diventa sempre più pesante, portandosi così in una precaria posizione di stabilità e rischiando continuamente il deragliamento. La pretesa di porsi come simbolo e come grande modello autoriale appesantisce notevolmente la pellicola, andando a creare una sovrastruttura eccessiva per i toni e la forma del film.
Anche il concetto di motus stesso viene innalzato a emblema autoriale, diventando così il principium che, dando vita al movimento e dunque al cinema stesso, innesca la narrazione e la lotta di classe.
Potremmo dire che Bong Joon-ho, andando alla ricerca dell'eccesso, si perde nel suo stesso cinema, indebolendo così la struttura della sua stessa creatura: a lungo andare ne va della godibilità e della credibilità della pellicola.
Peccato perché lo Snowpiercer, come ho già scritto prima, ha il pregio di poter poggiare su basi solide e, se non fosse stato trattato in modo così ambizioso, si sarebbe presentato agli occhi del pubblico come un eccellente prodotto di genere.
Nonostante i problemi legati all'eccessiva pretenziosità, l'ultima opera di Bong Joon-ho si distingue comunque per la grande maestria narrativa e stilistica del regista sudcoreano. L'intrattenimento non ci viene negato e la sapiente regia riesce a farci immergere totalmente in quel terribile microcosmo dal quale, vero l'esterno, è possibile osservare paessaggi desolati, ma non per questo meno affascinanti. Da menzionare, a questo proposito, il perfetto trattamento dei contrasti luministici che, in sequenze come quella del combattimento/massacro in ralenti contro i boia armati di asce, mostra tutta la grandezza del cinema di Bong.
Nonostante questo, il continuo tentativo di innalzare necessariamente il film a simbolo e a grande opera d'autore, a lungo andare, finisce per esagerare e rendere ridicole certe situazioni o certe sequenze, come, ad esempio, l'epsiodio della sosta del gruppo di rivoltosi nella scuola del treno, eccessivamente marcato dalla sua natura orwelliana.
Il cast, nel complesso, funziona abbastanza bene: graditi e sempre apprezzabili John Hurt e Ed Harris, un po' meno Chris Evans e Tilda Swinton, alla quale è stato cucito addosso un personaggio che eccede un po' troppo nei limiti di credibilità.
A conti fatti, Snowpiercer funziona e riesce ad intrattenerci e, anche se solamente in parte, ad affascinarci. L'eccesso di pretenziosità e di aspirazione verso un nuovo livello di cinema fantascientifico finisce per rovinare, in parte, la bellezza della pellicola.
Concludiamo così la visione, promuvendo con la piena sufficienza l'ultimo lavoro di Bong Joon-ho, sapendo, però, che con qualche eccesso in meno, Snowpiercer sarebbe stato in grado di colpirci, davvero.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta