Regia di Joon-ho Bong vedi scheda film
Il treno - il mondo - crea le differenze. La natura umana, le annulla.
Stasi e Rivoluzione, messe a confronto, hanno molto più in comune di quanto possa sembrare a prima vista. Come la “purezza” degli ideali (i propri) che sovrasta le debolezze della carne. Che accetta qualsiasi (altrui) sacrificio, senza troppi rimpianti. Il desiderio, umano, sopra tutto e tutti; obnubilante.
Allora non è una questione di status sociale. Non è il posto assegnato sul treno a fare la differenza.
È l’attentato verso i (propri) beni percepiti come fondamentali ed imprescindibili (il cibo per sopravvivere così come, mutatis mutandis, i beni di lusso per godersi la vita) che innesca un istinto rabbioso, ferino, incontenibile (la rivolta dei reietti, così come quella dei benestanti, alla fine del film).
L’umanità di cui Bong Joon-ho (anche sceneggiatore) segue la marcia verso il sovvertimento dello status quo, ad esempio, è una massa animalesca di poveri derelitti, pronta a sbranarsi a vicenda pur di rimanere un giorno in più su questa ingrata terra. Gli esempi di un “giusto” (Curtis, agli occhi dei suoi seguaci), da una parte, o quello di una guida forte ed autoritaria (Wilford “il…” gli epiteti si sprecano), dall’altra, possono, nondimeno, fare la differenza, benchè gli archetipi sociali in cui tali modelli comportamentali trovano corrispondenza sembrerebbero non lasciano spazio a soluzioni di compromesso. Così, laddove l’esigenza di ordine ed equilibrio non conosce pietà, il fuoco della ribellione e della vendetta (diretto ad azzerare le disuguaglianze sociali)… neppure.
Eppur tuttavia gli opposti, che da sempre si sono respinti (riuscendo, ugualmente, a bilanciarsi), stavolta sono destinati a convergere verso l’annichilimento reciproco, che non fa prigionieri (o quasi).
Sottoposta a minaccia la sua stessa esistenza, l’umanità (tutta) tira fuori gli artigli; e sbraita; e rivendica quanto (crede che) le spetta(i) di diritto. L’umanità è una sola, nel bene e nel male. Uno è l’istinto di sopravvivenza. Uno è il cuore (quello “meccanico”, che muove tutto il sistema; sito nella "testa", ma che nasce nella "coda"). Ma può essere una sola, finanche, la direzione (rectius: il verso della medesima) da prendere?
Davvero si può credere che un esoscheletro di metallo e cenere ed il pugno di ferro della crudele predeterminazione coatta possano trattenere, e contenere, la vita nelle sue infinite, poliedriche sfaccettature?
Bong Joon-ho allestisce una metafora sociale chiara come il sole (ma cruda come le barrette di proteine date in pasto ai più sfortunati… ma sempre meno cruda dei loro pasti originari). Eppure il film ha il grande merito di porsi ambizioni più alte (non immediatamente percepibili), sicchè quando si pensa di aver appreso quanto c’era da apprendere e si affronta, quindi, la dolorosa immersione nell’inferno di sangue e violenza che accompagna ogni rivoluzione non gradita al potere costituito, ecco che affiora la magmatica complessità della condizione umana come ulteriore sottotraccia narrativa suscettibile di prestarsi ad una chiave di lettura non squisitamente socio-politica. E i germogli della riflessione, fioriscono.
Snowpiercer è, dunque, un gran bel film che, a mio avviso, va giudicato avendo fatto lo sforzo di accettare una tregua con l’oggettiva, mastodontica contraddizione fra la trama e le leggi della fisica e della logica. Conta solo la “purezza” delle immagini e del loro significato allegorico. Il resto è una scenografia di cartapesta, che lascia il tempo che trova.
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