Regia di Joon-ho Bong vedi scheda film
Poco prolifico e mal distribuito il cinema di Bong Joon Ho è cangiante e inafferrabile, destinato a spiazzare chi tenta di capirlo affidandosi ai codici di genere che lambiscono le visioni del regista coreano. Il quale invece, a discapito delle etichette che qualificano le sue storie (horror, poliziesco e fantascienza sono alcune di quelle che compaiono nelle schede dei suoi film) riesce in qualche modo ad estraniarsi dalle regole del gioco, per abbracciare gli imprevisti di un viaggio cinematografico che si nutre di mille contaminazioni, dal fumetto alla letteratura, dalla pittura al cinema stesso, citato in alcuni dei suoi capolavori (basterebbero gli echi di “Citizen Kane” riproposti nel personaggio di Wilford, padre padrone del folle progetto).
Ma non solo, perché nel caso del fantascientifico “Snowpiercer”, si trattava di adeguarsi ad una sovrastruttura non da poco, trattandosi di una coproduzione indipendente ma costosa, chiamata a confrontarsi con una domanda di mercato drogato dal modello americano. Sarà forse per questo che, per raccontare le vicende di un mondo in via d’estinzione a causa di una glaciazione che costringe i sopravvissuti all’interno di un treno in perenne movimento, Bong decide di impiegare un cast eterogeneo ed internazionale, con star da hero movie come Chris Evans, e poi divi del cinema d’autore come Tilda Swinton, Ed Harris, John Hurt affiancati all’attore feticcio del regista, Sang Kang-Ho. Questo per capire la misura di una miscela che mischia vecchio e nuovo, oriente ed occidente, effetti speciali e monologhi esistenziali, per realizzare uno spettacolo che non rinuncia a dialogare con la contemporaneità, rispecchiandola nelle differenze d’ogni tipo che dividono gli occupanti del treno, separati da una gamma di possibilità, sociali, culturali e soprattutto economiche; con dinamiche e gerarchie che diventano sempre migliori con il progressivo avvicinamento alle cabine di testa. Un paradigma di ricchezza e povertà su cui Bong costruisce i motivi di una ribellione capeggiata da Curtis, eroe riluttante e problematico, logorato dal senso di colpa e dalla consapevolezza della caducità delle cose e degli uomini. Circoscritto all’interno di un unico spazio “Snowpiercer” sfrutta i limiti imposti dalla trama come propulsore di una fantasia che prende quota nei contrasti di colore tra i singoli ambienti, e nella dialettica tra l’angusta claustrofobia degli interni del treno, e gli orizzonti sconfinati della landa innevata attraversata dalla singolare carovana. Se è mirabile il modo in cui Bong armonizza il volume delle figure umane con le architetture delle scenografie, per non dire dei movimenti della mdp che non fanno sentire il peso della tecnica necessaria a districarsi nel ventre del mostro di ferro e lamiere, “Snowpiercer” conferma la personalità di un regista iconoclasta che non arretra neanche quando la sua idea di cinema si scontra con l’opportunità di sfruttare il valore commerciale dei suoi attori, (parliamo soprattutto di Chris Evans) qui messi a disposizione di un immaginario che antepone l’umanità dei corpi alla loro estetica. Presentato fuori concorso al Festival di Roma “Snowpiercer” è un film caldamente consigliato.
(icinemaniaci.blogspot.com)
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