Regia di Joon-ho Bong vedi scheda film
Panta rhei, scorre il Treno del divenire, dell'istinto che passa dalla società per poi, infine, arrivare alla metafisica. Scorre perpetuo il rumore delle rotaie del nostro percorso, e passa attraverso sobbalzi, sfoghi e frustrazioni, si inoltra nell'abbarbicarsi spinoso di illusioni e idee, di libero arbitrio e di predestinazione, per, alla fine, girare in tondo. E' tutto una grande bomba ad orologeria, una droga visiva che pretende tutto e ottiene tutto, in cui i perché si smontano velocemente, e l'immagine comincia a vibrare.
Snowpiercer è una delle esperienze più devastanti che il cinema ha saputo offrirci da qui a non si sa quanto tempo, una full immersion incontrollata e densissima di fatti, di sequenze, di trovate, di sensazioni, di ribaltamenti, di sovrastrutture, di delusioni, di violenza, di azioni, di purezza. La purezza dello sbigottimento è l'obbiettivo che Bong ha centrato in pieno creando uno spettacolo soffocante e asfissiante, seppur lanciato a migliaia di chilometri all'ora verso l'assenza di meta. Nel suo film ha fatto un ibrido dell'ibrido, ha fuso citazioni, eventi e spettacolo e ne ha fatto un melting pot che incrocia tutte le razze umane. Le ha messe poi dentro un'indifferenziata Arca di Noé, in cui è lo stesso fallace senso dell'esistenza ad essere tenuto saldo e ben in piedi, dritto verso l'assurdo.
Arrivare fino alla punta, la testa del Treno, per riordinarlo e ricostituirlo. La guerriglia della rivolta ci inonda di scintille e sangue a fiotti, per non parlare di dinamismi ulteriori e discontinui che permettono a Bong di spaziare da un genere all'altro, riuscendo a deflorare dal suo interno qualsiasi tipo di emozione, dallo stupore all'angoscia, dal terrore al disgusto, dal grottesco al ridicolo, fino all'apoteosi. Il suo è un procedere verso la conoscenza che lascia dietro di sé morti e feriti, è la graduale distruzione di ogni certezza, è il ribaltamento del senso stesso di un Cinema che in costante movimento tiene salve le esistenze evanescenti di uomini divisi, ordinati, prestabiliti. La società, dentro il Treno, è la sferragliante camera mortuaria della libertà, una prigione che tiene chiusi da un esterno ostile, in cui, invece, la totale libertà dell'uomo si è espressa nella peggiore catastrofe dell'umanità, causando una nuova glaciazione. E' l'opposto fisico/metafisico a spingere Snowpiercer verso terreni insoliti della consapevolezza. Se un braccio gela fuori, è una realtà esistenziale a cozzare con quella dell'uomo rinchiuso, e non è soltanto una trasformazione fisica e dunque non reversibile. C'è ben altro in quello scorrere filosofico che fanno gli esseri umani più bassi per risalire alla testa del Costante Movimento. La Sacra Locomotiva, il Divino Wilford. Fintanto che si dubita della loro esistenza, il movimento sarà limitato a una sola dimensione, e le dimensioni successive verranno via via svelate, fino non solo a far entrare in contatto i rivoltosi con umanità diverse educate all'immobilismo mentale (vedi la sequenza abberrante della scuola), ma a far entrare in contatto il concetto stesso di cinema tradizionale con altre realtà che mirano a deflagrare, importunare, disturbare (come effettivamente Snowpiercer riesce a fare), ovvero tramite la grandezza di Bong che immerge un genere nell'altro, rivela colpi di scena inaspettati, ribalta le situazioni, uccide chi subito prima era assurdamente vivo e ricollega fatti precedenti a successivi secondo un ordine che dal punto di vista visivo non perde mai il controllo, grazie a un senso di spettacolarità che permane sempre un po' come il rumore del Treno che striscia, schizza e sfregia il ferro gelato delle ferrovie. Il flusso di immagini e di sottotesti politici, sociali, esistenziali, è una valanga di proporzioni mastodontiche che invasa e fa letteralmente tremare, è un'onda anomala di indifferenziato stupore, spinge a una ricerca sempre più profonda. Tanto che l'indignazione sociale iniziale, che assurge al manicheismo più potente e convincente come mai è stato visto finora, si tramuta in qualcosa di ben più complesso che giustifica, arazionalmente, il coinvolgimento emotivo e la grazia della regia di Bong fin dalla prima sequenza di questo suo enorme capolavoro. Perché simile interesse nei confronti di una storia di ordinaria ingiustizia, come la prima parte del film ci mostra? Cosa c'è sotto quei movimenti tanto aggraziati con cui Bong ci mostra, sempre all'inizio, il residuo più sporco e degradato dell'umanità, animata però da veri sentimenti? E perché quegli uomini stanno lì dentro, divisi dai più ricchi (che stanno nelle prime classi), anche se ormai le divisioni sociali apparirebbero superflue, viste le condizioni dell'umanità? Se i perché assalgono, certo è una trovata di Bong. Perché lui sa quello che si può pensare di un inizio tradizionalista che sembra introdurre un dignitosissimo e (in)solito film di fantascienza. E la convizione rimane questa perché siamo a una dimensione bassa, che introduce a tematiche pratiche e concrete di natura socio-politica. Non viene in mente cosa possa significare oltrepassare quelle porte. Armiamoci dunque di quella droga che tanto sa di salvezza e di ribellione (e che tanto sembra appiattire i personaggi del coreano e di sua figlia, sempre più strafatti e sempre più importanti), e rigettiamo quei cubetti di proteine dall'origine disgustosa e che non possono non ricordare 2022: i sopravvissuti (nessuno spoiler, calma, la "fonte" è un'altra). Già sono i singoli oggetti di cui ci nutriamo e da cui siamo assuefatti a sottendere qualcos'altro, a rivestirsi di illusione. Spogliamoci dunque di queste illusioni e andiamo oltre, dove la guerriglia può ripartire distruttiva e si devono sfruttare le retrovie per combattere. Solo così si potrà avere la rivincita su certi individui che con armi manuali (perché quelle a proiettili erano un'altra illusione, apparenza) cercano di spezzare arti e teste dopo aver intinto le lame delle loro armi nel sangue di pesce (e non si capisce bene perché, ma qui sembra esserci lo zampino di Park produttore).
Dopo la battaglia, incominciano i ribaltamenti: morti, violenze inaudite, volti sconvolti, schegge urlanti e buio che lascia attoniti, fino alla prosecuzione. Qualcosa non va. Cosa? Cosa è entrato in corto circuito? Perché dal grigiore di una coda fatta tutta di sporco e lercio entriamo nel colore accecante di una classe, dove le illusioni sono più artefatte e rivelano la loro propria artificiosità? Spari, altre urla, corsa, immersione nel trip. Siamo dentro il loop di un treno che fa un percorso in tondo, che scandisce il tempo considerando Capodanno il passaggio da un lunghissimo ponte e che interrompe qualsiasi attività violenta manco fossero Olimpiadi dell'antichità per urlare al gioioso nuovo anno di grazia 2032, per riprendere subito dopo a combattere. Proseguendo così verso la punta del treno, è tutto sempre più finto, assurdo, disumano: gli sguardi degli aristocratici si contorciono, diventano maschere ributtanti, si nascondono nel bagno turco giallo, in cui si verifica un altro cambio di rotta. E' la musica di Shining quella? Ma sì!, la musica della sala da ballo. Altra violenza, il rumore del Treno è sempre costante, è il Cinema che scorre, e a volte le ruote non toccano più le rotaie. Avanti, avanti, fino alla punta, fino al bivio.
Così Snowpiercer prosegue all'infinito, proponendo una quantità infinita di suggestioni e di intuizioni che scrivere sarebbe riduttivo, se non fosse già che per chi scrive pensare di rievocare un film del genere tramite le parole è frustrante e contraddittorio. Perché il nuovo film di Bong è flusso di coscienza, è passaggio dalla storia alla filosofia, è il Cinema stesso, volto verso l'Apocalisse. E l'incontro di queste due dimensioni è grottesco, superfluo, laccato, magnifico. Ne rimaniamo letteralmente invasati. Per chi voglia ricordarsi cos'è il Cinema, la tappa ultima ed inevitabile è Snowpiercer.
Attenzione all'ultima immagine, e a ciò che poco prima la precede: siamo ben lungi dalla parabola animalista.
Da non perdere.
L'illusione (del Cinema) è il motore dell'esistenza.
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