Regia di Joon-ho Bong vedi scheda film
Bong Joon-ho è il regista dei miei sogni: quello che attendo sempre con ansia (attesa vana, dovessi aspettarlo nelle sale italiane, dove il regista risulta tutt'ora un clandestino!) ad ogni opera che si affaccia al mondo. Ed essendo tali suoi lavori non certo numerosi e ricorrenti, l'attesa diventa spasmodica, irresistibile. Sapevo, ne ero pressoché certo, che il trasferimento negli Usa anche di questo grandissimo cineasta (al pari, per citare i più grandi e noti coreani attualmente in circolazione, di Park Chan Wok, che appare qui come produttore, e di Kim Ji-woon) non avrebbe significato, come è successo soprattutto per l'ultimo citato (mi riferisco al film The Last Stand), la genesi di un prodotto "alimentare" di puro valore commerciale, ma anzi sarebbe stato funzionale all'ottenimento del prodotto tale e quale il cineasta lo pensava da tempo. Si perché la trasposizione del fumetto francese "Le Transperceneige" era da tempo uno dei sogni difficilmente realizzabili di Bong, che è riuscito, con il presupposto di creare un blockbuster d'azione che potesse ottenere i finanziamenti della Hollywood che conta, a creare un'epopea universale, leggendaria e dai toni biblici o quantomeno messianici, che non può non far riflettere (e mettere letteralmente i brividi, e non solo per il freddo polare...) allo spettatore, inevitabilmente avvinto da una trama in corsa spedita al pari del treno nella quale tutto si svolge e tutto ha un senso compiuto.
Certo perché tutto avviene in un treno blindato lunghissimo, che racchiude tutta la popolazione superstite al mondo, salvatasi in qualche modo da una glaciazione che ha incrostato di ghiaccio impenetrabile ogni angolo del pianeta, unendo i continenti un tempo separati dal mare. In quel contesto un bizzarro quanto indubbiamente geniale inventore di nome Wilford, da sempre appassionato di treni e fin da bambino con l'idea fissa di vivere senza mai scendere da quel mezzo di locomozione, si trova, nell'anno 2031, a divenire il salvatore del mondo intero (e dunque il re di un regno perennemente in movimento) realizzando una via ferrata che girasse in tondo a tutto il globo, mossa e alimentata da un macchinario prodigioso, sospinto da un moto perpetuo in grado di rigenerarsi: un'arca ultramoderna, sede ed ospizio di tutti i superstiti della catastrofe ambientale di proporzioni non dissimili alla glaciazione primordiale.
Un nuovo dio insomma, che dispone il treno secondo una classe gerarchica che vede lui al comando, seguito dai suoi seguaci armati, come un'esercito di fedeli organizzato ed implacabile; a loro fanno seguito le persone abbienti, il ceto medio, e via via che ci si allontana dalla base fino ad arrivare agli ultimi vagoni che, stipati di gente, ospitano la classe più povera e indigente. Nutrita a base di una gelatina nera rivoltante, questa ultima fetta di popolazione subisce ripetute vessazioni, torture, vivendo in condizioni che non possono farci tornare alla mente le torture perpetrate ad una razza considerata nemica, accatastata in treni della morte sulla via dei ghetti terminali. Un mondo soggiogato, almeno fino a che un giovane (messia) di nome Curtis decide di ribellarsi e di reagire. La rivolta risulta molto sanguinosa e la scalata alla testa del treno perennemente in corsa nel suo giro senza fine (l'unico modo per mantenere in azione l'energia che riscalda e tiene in vita quella sorta di "zoo umano della sopravvivenza") risulta a tratti impossibile, mettendo in luce altresì aspetti organizzativi e di contenimento demografico che rispecchiano gli orrori più devastanti della nostra recente storia del '900 o della schiavitù nel nuovo mondo.
Altro che blockbuster insomma! Snowpiercer è il "Brazil" di Bong Joon-ho, e il fumetto che ne ha ispirato la genesi è la base che ha permesso a questo geniale cineasta di affrontare tematiche globali inquietanti ed affascinanti insieme, dove problematiche civiche e razziali si commistionano alla perfezione con il lato ecologico/catastrofico legato alla devastazione del nostro pianeta da parte di una umanità sempre più aberrante. Popolato, come il capolavoro di Gilliam. da personaggi grotteschi, eccentrici, sopra le righe e mostri di una umanità che si aggrappa sulle unghie di ogni più sordido compromesso per assicurarsi la sopravvivenza, Snowpiercer ha genialità di scegliere il treno come un universo che per essere attraversato necessita fisiologicamente di essere percorso completamente, permettendo dunque al "messia" ribelle di scoprire verità agghiaccianti sulle differenze di trattamento che separano chi conta da chi invece è meno di zero: da chi lotta per accaparrarsi la sua barretta gelatinosa insapore e viscida, sottoposto a vessazioni e torture per ogni omissione anche incolpevole, a chi inganna il tempo del suo viaggio senza fine occupato solo a decidere di quale delizia cibarsi, a quale acconciatura elaborata contornare la propria estremità superiore, in quale discoteca o locale trendy trascorrere la propria serata. Tutti vagoni che il nostro manipolo di eroi ribelli percorre per raggiungere il dio ingiusto che governa quel mondo raggelato fisicamente e pure nell'animo, decimandosi senza pietà: perché in questo film non c'e' spazio per la speranza e anche i protagonisti che più ci rimangono nel cuore muoiono decimati dalla cattiveria di una umanità che vive come in un acquario, dove tutti sono necessari, ma nessuno, tranne quel dio che nessuno conosce, è indispensabile. Una metafora potente sulla storia dell'umanità che trasporta il blockbuster su territori ben diversi e ben più complessi ed ambizioni di qualunque altro film d'azione. Per questo il film non avrà certamente il successo che invece merita, e già nella sala francese in cui veniva proiettato ieri creava le sue prime perplessità nel pubblico giovane di ragazzi che desiderano divertirsi senza pensare. Bong Joon-ho riunisce un cast variegato di attori bravissimi (Swinton, Hurt, Harris, Spencer) e di promesse in qualche modo mantenute (Chris Evans è davvero bravo e nasconde più che può ogni traccia del suo fisico scultoreo altrimenti pavoneggiato), ma non rinuncia ai suoi prediletti attori coreani che fa parlare in ligua madre, talvolta senza neppure alcun sottotitolo. Un grande e complesso film che si elabora nella mente dello spettatore ben oltre le due ore abbondanti della sua corsa (quasi) senza fine. Un opera che ribadisce una grandezza che sospettavamo da tempo rara e quasi inarrivabile, e che si accommiata fornendoci almeno un piccolo lieve barlume di speranza in lontananza, quando finalmente il manto nevoso onnipresente e minaccioso pare tramutarsi, alla luce dei pochi (ma davvero pochi) superstiti, in qualcosa di più umano e finalmente piccole e perfette costellazioni ghiacciate rivelano che il pianeta potrebbe tornare a riscaldarsi nuovamente, sbriciolando una coltre fino ad un attimo prima apparentemente impenetrabile ed ostile.
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