Regia di Todd Robinson vedi scheda film
Ennesimo titolo che s’incanala nel filone dedicato alle avventure (e sventure) dei sottomarini e dei loro equipaggi e che propone la rilettura di un fatto storico poco conosciuto, venuto a galla molto dopo gli avvenimenti narrati, che avrebbe potuto cambiare la storia dell’umanità.
Una quota di tensione è inevitabile, ma il film sfiorisce se paragonato ai suoi precursori in materia.
Seppur controvoglia, il capitano russo Demi (Ed Harris) è chiamato a una nuova ultima, quanto inaspettata, missione al comando di un sottomarino in acque internazionali con a bordo Bruni (David Duchovny) personaggio inviato dal KGB con obiettivi segreti.
Una volta scoperti quest’ultimi, l’equipaggio sarà chiamato a decidere velocemente come comportarsi visto che all’esterno il pericolo non è più solo rappresentato dalle forze considerate nemiche.
A dispetto del consistente peso sconosciuto, almeno al sottoscritto, dei fatti narrati, Phantom non riesce ad andare oltre un certo ordine di base, muovendosi tra dramma e thriller senza possedere sempre sufficiente agilità nello sviluppo.
Senza dubbio è invece ampiamente garantita la claustrofobia e le riprese, rispetto a molti altri titoli, si sono giovate del lavoro svolto all’interno di un vero e proprio sottomarino russo, con spazi e movimenti più angusti (elemento percepibile).
Su tutto primeggia un discreto pathos, soprattutto quando la realtà deve ancora assumere tutte le sue forme e non si sa perfettamente cosa stia per accadere, mentre vi è anche un po’ di retorica spiccia con alcune affermazioni un po’ di parte (d’altronde, siamo pur sempre in un film americano su dei russi) che si potevano tranquillamente evitare anche perché tutt’altro che salienti.
E la costruzione vivacchia su un certo, quanto inevitabile, schematismo, solo sul finale si prova il colpo d’ala, ma appare più che altro un tentativo piuttosto goffo.
Tra gli interpreti spicca Ed Harris, protagonista piuttosto convincente come capitano e condottiero non privo di macchia (e quindi con un peso morale da reggere), mentre David Duchovny è mono espressivo, ma è pur sempre vero che tante volte i russi al cinema sono stati presentati in questo modo.
In sintesi, si tratta di una pellicola ordinata, finale a parte, diretta da Todd Robinson, che col precedente Lonely hearts (2006) aveva fatto decisamente meglio, che non riesce sempre ad alzare l’asticella del livello qualitativo (di tensione, di costruzione, di partecipazione) finendo con il non dare il dovuto lustro a uomini realmente esistiti ai quali un po’ tutti dobbiamo qualcosa senza nemmeno saperlo.
Rispettabile ma non proprio ispiratissimo.
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