Regia di Victor Sjöström vedi scheda film
Vivere è come stare sopra un palcoscenico, in mezzo a personaggi ostili e davanti a un cinico uditorio, di cui si diventa facilmente lo zimbello. L’ironia può essere allora un porgi l’altra guancia di carattere creativo, che, ammorbidendo il bersaglio, rovina all’avversario il gusto di colpire. La scelta di Paul Beaumont - brillante scienziato che, dopo aver subito un pesante tradimento affettivo e professionale, decide di diventare un clown - è una resa beffarda che smonta le altrui imprese con l’arma di una travolgente allegria, e tutto appiana con la tempra inflessibile del nonsense. Il pagliaccio che si fa schiaffeggiare per divertimento toglie fiato all’odio ed al disprezzo, soffocandoli prontamente con una risata. Il male non riesce ad attecchire dove non c’è modo di prendersi sul serio; il problema, però, è che il regno dello scherzo è refrattario anche al bene e, in generale, a tutto ciò che è vero. Dietro al trucco e al costume si stenta a riconoscere un uomo in carne ed ossa, capace di amare e di soffrire, perché la comica respinge per sua natura il dramma, fino al punto da far sembrare buffa anche la morte. Il dolore, nel mondo del circo, è un tonfo sordo attutito dalla sabbia, che crea l’illusione che tutto possa risolversi in un gioco, a cui possiamo porre fine in ogni momento, rialzandoci come se niente fosse ed uscendo di scena saltellando. Tutto ciò sembra possibile, perché nessuno crede che l’ilarità possa davvero mascherare il pianto, e se il volto è illuminato da un sorriso, allora il cuore deve essere necessariamente carico di gioia. Mostrarci contenti significa togliere ai nostri nemici la soddisfazione di umiliarci, ma anche privare noi stessi del beneficio dell’altrui compassione. Occorre palesare le proprie debolezze per poter sperare di essere compresi, aiutati, e magari amati: la solidità del legno appartiene solo alle marionette, che non cambiando mai espressione, non hanno nulla che possa definirsi umano. L’uomo che prende gli schiaffi è la tragedia dell’individuo che abbandona l’agone della vita per diventare interprete di uno spettacolo irreale; l’alienazione da un lato lo protegge, dall’altro lo fa restare solo, l’unico a sapere che le parole e i gesti che gli sgorgano dall’anima non fanno parte del ruolo scritto sul copione.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta