Regia di Béla Tarr vedi scheda film
Fa uno strano effetto questa breve escursione, a colori, negli stessi ambienti, interni ed esterni, di Satantango, opera in bianconero che pareva ambientata in un non-luogo e in un non-tempo. E' come se la poetica di Bela Tarr si spogliasse della sua aura metafisica, della sua ipnotica fascinazione e della sua epica del fallimento, per rivelare la sua sostanza puramente materiale, dove un campo di grano, un sentiero infinito, un casolare abbandonato e una bettola trasandata sono gli oggetti, naturali o non, in cui si riflette un malessere insanabile, cosmico. La lenta, avvolgente ma sempre calibrata ed essenziale, perlustrazione dell'ambiente e delle silenti testimonianze della presenza umana, mette a nudo la pregnanza poetica ed esistenziale di tutto ciò che viene contemplato dallo sguardo; e le parole del poeta, decantate dallo stesso Irimias di Satantango con il consueto tono fra l'apatico e il disilluso, fanno da perfetto contrappunto verbale alla scabra ineluttabilità delle immagini. Bellissima la poesia del "sole ubriaco", concreta e popolaresca metafora che intende unire il particolare all'universale, il volgare al metafisico: una perfetta definizione per il cinema di Bela Tarr, inimitabile nel cogliere l'assoluto e l'inesprimibile, non speculando su concetti astratti, bensì rinvenendolo fra le pieghe di vite vissute fra quotidiani affanni, acciacchi, vizi e miserie.
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