Regia di Evan Goldberg, Seth Rogen vedi scheda film
«Quando inizierai a recitare?», chiede un giovanotto impertinente a Seth Rogen, accusato di interpretare sempre lo stesso tipo umano. Facciamola finita infila il dito dritto nella piaga (che a questo nutrito gruppo di autori-attori piace tanto stuzzicare), presentandoci i soliti (nuovi) noti nelle versioni colorite (esasperate & semplificate) di se stessi, con corollario di irresistibili complicazioni dovute alla continua interferenza tra attore e ruolo: Jay Baruchel amico (e retaggio) di una vita (con Rogen condivide le origini canadesi e i primi passi nello showbiz) viene prelevato dall’aeroporto di L.A. e deportato a una super festa vip. Nella casa - finzionale ma funzionale - di James Franco le persone/personaggi si palleggiano battute grevi o complimenti ruffiani, ammiccando alla nostra compiaciuta conoscenza del loro curriculum integrale. Poi Hollywood diventa la bocca dell’inferno, e i superstiti devono sopravvivere a se stessi: laidi viziati narcisisti, pretenziosi collezionisti d’arte discutibile (il fallo-soprammobile) e indiscutibile (i quadri gemelli che suggellano il legame tra Rogen & Franco). Stolti, triviali, mossi da istinti bassoventrali, i corpi della factory apatowiana stanno incollati al proprio ombelico trasformandolo nell’ombelico del mondo: con un’autoreferenzialità che trascende l’egomania e ribadisce il gioco degli specchi tra noi e i nostri idoli. Perché quest’apocalissi biblica che li costringe tra 4 mura ad ammazzarsi per uno snack è l’espediente - estremo e geniale - per invitarci al party.
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