Regia di Evan Goldberg, Seth Rogen vedi scheda film
Quando l'autoironia conviene.
C'è una bella differenza fra autoironia e autoreferenzialità. E soprattutto c'è una bella differenza tra i vari significati che l'espressione politically uncorrect ha potuto assumere fin dalla fine del Novecento. A dimostrarlo potrebbe stare questo grande circo degli orrori che è This is the End, un titolo che vuole porsi atipico a tutti i costi mettendo in scena una di quelle feste Hollywood-style nella casa del quotatissimo James Franco (nella parte di se stesso come tutti gli altri) e che inizia pure con una simpatica trovata, ovvero quella di salvare sulla Terra, durante l'Apocalisse, soltanto la casa sempre di James Franco, come in nome di una beffarda giustizia divina. Quantomeno finché non si capisce che è proprio la Terra ad essere diventata un Inferno, che loro si sono salvati per caso e che devono decidere loro stessi del proprio destino divenendo buoni e santi a convenienza (e riuscendo, alla fine, a fregare anche gli occhi di Dio con le loro "grandissime" capacità attoriali). Sviluppate meglio anche queste trovate avrebbero potuto prendere acchitto fra spettatori un tantino più esigenti, ma pur volendo prendere per buoni tutti questi presupposti narrativi, che non stanno poi tanto stretti, il vero problema è l'ipocrisia dell'intero prodotto, che non fa altro che celebrare ulteriormente simili divi senza scalfirne assolutamente l'immagine: solo perché James Franco si droga e Emma Watson scappa impaurita e armata di accetta, questo non ci porterà certo a maggiore critica nei confronti di quel mondo, ma solo ad una maggiore (presunta) stima nei confronti di quegli stessi divi, "tanto capaci di autoironia". Né ci frega il femminile Jonah Hill con i suoi modi da omosessuale, né ci frega Seth Rogen con la sua bassa autostima: la droga, il sesso e le battutacce con i liquidi organici ormai non scandalizzano più, e il vuoto di quel mondo è reso con fin troppa superficialità per essere davvero un fulmine all'interno del cinema hollywoodiano. L'idea finale è che ci si è voluti divertire come con un filmino domenicale (e durante la reclusione i protagonisti il filmino lo fanno vero, Pineapple Express 2), però con un bel mucchio di soldi. E gli effetti speciali spesso e volentieri lasciano pure a desiderare, fra scivoloni fastidiosi nel kitsch (le parti musicate, da Gangnam Style ai Backstreet Boys) fino a un fuoco infernale che lascia poco all'immaginazione per quanto riguarda la derivazione digitale.
Forse non è richiesto un approccio serioso al film, e le risate nella prima mezz'ora si riescono pure a fare, ma il tutto è tirato per le lunghe nonostante la durata non eccessiva, le gag si ripetono, cercano il goliardico senza requie e si affidano alla mimica di attori famosi e simpatici a tutti che potranno adesso essere celebrati ancora di più. Questo per dire che coraggio dietro l'operazione non ce n'è, e si resta con un pugno di cenere. Anche perché l'intento metacinematografico fallisce tutto quando il prodotto diventa una sorta di Scary Movie 4 anche meno divertente (gli Scary Movie a livello di divertimento stanno su ben altro livello), ridondante, citazionista, parodico all'ennesima potenza e fin troppo saturo. Nonostante simili aspetti si potessero prevedere la curiosità non molla, e in molti il film l'hanno pure apprezzato, quindi non resta che tentare di goderselo e sperare di non stancarsi troppo di fronte a costanti riferimenti a eiaculazioni, urina, omoerotismo, violenza estrema (e non fa impressione a nessuno neanche questa) e presunta autoironia che poi è autoreferenzialità con i fiocchi. L'ultima mezz'ora: barba totale.
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