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Il passato

Regia di Asghar Farhadi vedi scheda film

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La recensione su Il passato

di FilmTv Rivista
10 stelle

«Ognuno ha le sue ragioni»: la famosa battuta di La regola del gioco potrebbe essere messa come epigrafe all’inizio di Il passato - anche se nulla di più distante dal cinema di Renoir sembra covare all’interno dei film dell’iraniano Asghar Farhadi. Si tratta, in ogni caso, di qualcosa che reclama di essere ascoltato, la voce inconfondibile del grande cinema. Si può parlare di voce per un regista che, come aveva mostrato Una separazione, costruisce inesauribili e microscopiche esplorazioni dell’arte del tacere? Intorno all’atto finale di un matrimonio (Ahmad giunge a Parigi dall’Iran per chiudere il divorzio con la ex moglie francese che lo ospita) e a un tentativo di suicidio che ha provocato il coma irreversibile di una donna, Farhadi sviluppa una potenza di scavo bergmaniana e la tensione di un thriller: nella seconda parte, quasi ogni 15 minuti, una inattesa rivelazione ci costringe a ridisegnare il film. Quella consorte abbandonata ha davvero tentato di togliersi la vita perché ha scoperto il tradimento del marito (con la ex compagna di Ahmad)? Bérénice Bejo (The Artist), la giovane Pauline Burlet, Tahar Rahim (Il profeta) e Ali Mosaffa (che è anche regista) recitano come se avessero vissuto quelle vite ancor prima di interpretarle, la narrazione è tesa e levigata come un ciottolo, il passo invisibile e sicuro. Ognuno ha le sue ragioni ma l’unica maniera di riparare i torti è di non commetterli: il passato non è mai sufficientemente remoto per impedire ai sensi di colpa di arpionare la nostra vita. Non una nota di musica in più o un eccesso formale o sussulto che consentano alla regia di intromettersi tra pubblico e personaggi. L’arte di tacere è anche l’ossessione di uno stile la cui urgenza ed evidenza sono direttamente proporzionali alla cancellazione di ogni traccia esplicita della presenza di un autore che non sia il peso specifico dei personaggi, il dolore irredimibile di un intreccio e la sua natura inestricabile. Solo alla fine, forse, il miracolo dell’attesa di una lacrima, come in un film di Kieslowski - si può dirigere una lacrima su una guancia? Le si può dire quando e dove andare come a un attore? - darà requie al tormento di un personaggio e alla pena del pubblico.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 47 del 2013

Autore: Mario Sesti

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