Regia di Asghar Farhadi vedi scheda film
CANNES 2013 - CONCORSO
Di nuovo una situazione inconciliabile che fa seguito ad un matrimonio fallito da tempo; anzi in realtà due episodi che si concatenano e hanno più punti in comune per essere legati assieme. Si perché in questo splendido film del premio Oscar iraniano Asghar Farhadi le famiglie al capolinea sono in realtà due: la prima vede la francese Marie, in una grigia periferia parigina, attendere il ritorno del marito iraniano da Teheran, per procedere al divorzio che fa seguito a quattro anni di separazione, un periodo durante il quale l'uomo ha fatto ritorno nel suo paese, abbandonando pure le amate figlie dopo l'amara e dolorosa constatazione di non riuscirsi ad adattare alle regole di un mondo europeo che gli sembra sempre più estraneo ed inconciliabile.
L'altra famiglia a pezzi è quella di Samir, titolare di una lavanderia nei pressi della farmacia ove lavora Marie; sposato con un bambino ed una moglie da tempo in stato comatoso-vegetativo che non la rende né viva né morta, il giovane trascina la propria esistenza tra una serie di dubbi e perplessità morali che non lo aiutano a rifarsi una vita con l'altrettanto combattuta Marie. Quest'ultima poi è in conflitto forte ed inconciliabile con la figlia più grande, che nasconde tra l'altro un drammatico segreto che è la chiave di molte tensioni alle quali l'ex marito iraniano, con la sua pazienza e una saggetta così poco europee, cercherà se non di risolvere, quanto meno di mediarne una soluzione ragionevole.
La straordinaria capacità di riprendere l'essenza della normalità e delle più sottili reazioni umane ai mille dissidi della vita è il più grande dono del bravissimo regista iraniano, che nella sua acuta capacità di introspezione, nella sua destrezza a riprendere e far recitare i bambini senza cadere nello stucchevole o nel "recitato", ricorda la naturalezza senza pari di Gianni Amelio nei suoi capolavori più apprezzati. "Le passé" è un grande film che tocca il cuore e fa scuotere dentro di noi quella commozione spesso sopraffatta da uno strato di malizia o superficialità che troppo spesso ci incementa nel nostro cuore, rendendoci ciniche inflessibili macchine di vuota e sospettosa razionalità fine a se stessa.
Berenice Bejo dimostra, con questo suo sofferto ruolo di moglie e madre allo sbando, doti recitative spiccate e convincenti che l'esuberanza un po' macchinosa ed artificiale inevitabilmente presenti in The Artist, ne celavano molta della loro indubbia presenza. Tahar Rahim è un padre intenso e contraddittorio e certi suoi duetti col figlioletto triste fin quasi alla disperazione sono pezzi di cinema indimenticabili e uno dei segni di grandezza di un film che sa pure piacere e farsi apprezzare dal pubblico, cosa invero molto importante per una co-produzione francese che tuttavia vede impegnato pure il nostro paese, e che può ambire senza troppi azzardi o vuote fantasie anche al massimo riconoscimento nell'ambito di questo importante festival internazionale.
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