Regia di Claude Lanzmann vedi scheda film
«È evidente il fatto che fossi una marionetta, ma era necessario che questa marionetta potesse influire sul corso degli eventi tirando i suoi stessi fili». Benjamin Murmelstein parla così del suo ruolo (controverso) di rabbino capo del consiglio degli ebrei a Theresienstadt (Terezín), il ghetto presentato dai nazisti come luogo modello per ingannare il mondo. Murmelstein più che un Don Chisciotte si sente un Sancho Panza. Ma il paragone che preferisce è quello con Sheherazade: lui che operava a stretto contatto con Eichmann (un «demone», altro che “banalità del male”) doveva partecipare alla tragica farsa per salvare il salvabile. E così quest’uomo colto, ironico, estremamente consapevole, “l’ultimo degli ingiusti”, si trasforma in una figura quasi eroica, nella sua ambiguità. L’intervista è del 1975, ma Claude Lanzmann – autore dello straordinario Shoah - l’ha trasformata solo nel 2013 in un documentario-fiume (3 ore e 40’), il cui fascino sta proprio nel dialogo a distanza tra il regista ormai ottantottenne e l’anziano ebreo in esilio a Roma. Le immagini di repertorio sono ridotte al minimo. Ci sono invece le rovine, i luoghi della deportazione, i binari della stazione di Terezín, i corridoi e le scale che il vecchio cineasta riattraversa, con fatica e ostinazione, mentre aggiunge nuovi pezzi al puzzle della Storia. Il film è lungo, a tratti ci si perde tra date, nomi, dettagli, ma l’incontro con Murmelstein è di quelli che non si scordano, così come rimane impressa la figura di Lanzmann che attraversa lo spazio concreto, vivo, della memoria.
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