Regia di Robert Aldrich vedi scheda film
“Chi sono i miei disperati? Tutta gente che scende in guerra contro il sistema, sempre e dappertutto. E come finiscono in genere tutti quelli che hanno il coraggio di fare certe guerre? O li ammazzano o li spingono ad ammazzarsi. È ineluttabile. Il mio è un cinema del vero e non poteva ignorare questo dato di fatto”. [Robert Aldrich]
Leggendo questa dichiarazione programmatica, non si fa fatica a individuare le coordinate del cinema di Robert Aldrich. E a considerare anche Quella sporca dozzina, opera apparentemente più commerciale e meno personale, come un altro tassello della poetica estremamente coerente del regista.
La trama è abbastanza nota. Siamo nella Francia occupata dai nazisti del 1944. Il rude maggiore dell’esercito americano John Reisman (Lee Marvin) viene incaricato dal generale Worden (Ernest Borgnine) di formare ed addestrare dodici avanzi di galera, la maggior parte dei quali condannati a morte per i loro crimini di guerra (e non solo). Per loro è prevista un’ancora di salvezza: se riusciranno nell’impresa di distruggere un castello sede del quartier generale nazista, saranno liberi. La missione è chiaramente un suicidio annunciato, ma i dodici disperati sapranno comunque conquistarsi un posto nell’olimpo degli “antieroi” e riusciranno, prima di tirare le cuoia, a sviluppare quantomeno uno spirito di unione tra di loro.
La visione della guerra nella filmografia "aldrichiana" non è mai stata univoca e facilmente definibile. Aldrich probabilmente non è mai stato un antimilitarista, ma nemmeno un guerrafondaio. Il suo cinema inquadra la guerra come situazione nella quale emergono i caratteri ed i conflitti tra i soggetti, nonché i peggiori istinti dell’uomo. Nonostante ciò, si individua nella sua filmografia, soprattutto da questo film in poi, una amara constatazione: la guerra diventa un gioco, una partita di football irrazionale e assurda, e allora perché non farvi partecipare la feccia dell’umanità, un branco di uomini che non si battono per la libertà né per un ideale, ma soltanto per portare a casa la lurida pellaccia. Quella sporca dozzina estremizza questo concetto, portato alle estreme conseguenze, perché Aldrich come sempre è eccessivo. Certo, alla prova del tempo probabilmente reggono di più film come Prima linea o Non è più tempo di eroi, perché più originali e decisamente più pessimisti. Inoltre va riconosciuto il fatto che Quella sporca dozzina è stato il progenitore di una lunga serie di film (o filmacci, per la maggior parte) che poco o nulla hanno capito dello spirito originario del film. Se Aldrich viene spesso etichettato come un cinico, lo si deve alla visione disincantata del mondo che ne esce da questo film, allegra ballata di guerra e di morte. Ma Aldrich in realtà non era un cinico, bensì un autore che mette in scena una umanità desolata e senza speranza. I protagonisti di questa sporca dozzina sono tutti dei reietti ed emarginati, pazzi sanguinari o pervertiti, o uomini tutti di un pezzo in conflitto con l’ordine costituito e con le istituzioni militari: lo stesso maggiore Reisman è incaricato della folle missione perché da sempre in conflitto con i suoi superiori; il soldato interpretato da Charles Bronson è invece un ex ufficiale condannato a morte per aver ucciso un comandante vigliacco (rimandando alla memoria l’indimenticabile tenente Costa di Prima linea).
Aldrich assembla un cast di ineguagliabili facce da galera. Sotto la supervisione di un magnifico Lee Marvin, sfila un gruppo di attori giovani ed emergenti, tra i quali spiccano soprattutto John Cassavetes (interprete del pazzo nevrotico Franko), Charles Bronson, Telly Savalas e Donald Sutherland. Mentre piccoli ruoli sono previsti anche per due grandi vecchi quali Ernest Borgnine e Robert Ryan, nelle vesti di due odiosi alti ufficiali dell'esercito. Insomma, un grande e sfarzoso spettacolo, cattivo, amaro e acido nel puro stile "Aldrich".
"Ti ho chiesto che ne pensi, sergente".
"Io penso che alla prima occasione uno di quei pezzenti sparerà al maggiore in mezzo alla fronte, signore!"
"Grazie, sergente".
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