Regia di Robert Aldrich vedi scheda film
Nella seconda metà degli anni’60 il cinema americano riuscì a reinventarsi imbrigliando in qualche modo lo spirito ribelle di quegli anni al fine di appropriarsene in chiave cinematografica tra sperimentazioni narrative e nuove chiavi di letture anche nel cinema di guerra, tradizionalmente più classico/conservatore, dove la stessa paranoia del nucleare (Il dottor Stranamore) e/o il Vietnam ma travestito da Corea (M.A.S.H.) consolidarono la carica antimilitarista già consacrata in opere d’autore quali Orizzonti di gloria e Il Ponte sul fiume Kwai e nel quale proprio Quella sporca dozzina di Robert Aldrich rappresentò una specie di via di mezzo, tra tradizione classica e innovazione new-hollywoodiana.
Già nel 1963 il Los Angeles Time annunciava che la MGM aveva acquistato per 80.000 dollari i diritti del romanzo omonimo di E.M. Nathanson, ancora nella sua forma di manoscritto, scritta basandosi su una storia del regista Russ Meyer che gli raccontò di aver incontrato come fotografo durante la guerra un gruppo di dodici soldati americani che si faceva appunto chiamare The Dirty Dozen.
Nathanson cercò dei riscontri alla storia anche nella Pentagon Law Library (e in altri archivi militari) ma senza riuscire a trovare nessuna conferma.
Nonostante questo, i produttori William Pelberg & George Seaton incaricarono lo sceneggiatore Harry Denker di scrivere un soggetto basandosi sugli appunti di Nathanson ma il risultato non soddisfò la dirigenza.
Ci vollero altre due sessioni di scrittura, di cui una dello stesso Nathanson, prima di arrivare a una sceneggiatura definitiva firmata da Nunnally Johnson.
Quella sporca dozzina, maggior successo della MGM del 1967 e capostipite di tre sequel televisive (e di un serial TV prodotto dalla FOX e andato in onda nel 1988 a causa dei bassi ascolti per soli 7 episodi dei 14 previsti) ma anche opera seminale di tantissime successivi lavori cinematografiche, è stato il diciottesimo lungometraggio di Robert Aldritch.
Contattato dal produttore Kennenth Hyman, Aldritch accettò di dirigere il film ma a due condizioni: ovvero di sottoporre lo script alla revisione di Lukas Heller, suo sceneggiatore di fiducia (già al suo fianco in Che fine ha fatto Baby Jane?, Piano...piano, dolce Carlotta e Il volo della fenice) e di avere completa carta bianca nella scelta del cast.
Dopo oltre un anno di accurate ricerche del casting director si arrivò per i diversi ruoli a una nutrita schiera di eccellenze hollywoodiane: Lee Marvin, Erneste Borgnine, Charles Bronson, John Cassavetes, Donald Sutherland, Telly Savalas, George Kennedy, Robert Ryan, Richard Jaeckel, Trini Lopez, Clint Walker e Robert Webber.
La produzione ebbe una lavorazione tutt’altro che agevole incontrando qualsiasi imprevisto possibile e immaginabile, a partire proprio dai suoi interpreti principali.
Anche lo stesso Lee Marvin procurò non pochi problemi.
Fu dato per disperso quando avrebbe dovuto girare una scena con Charles Bronson per poi essere ritrovato ore dopo in un pub a Belgravia ubriaco marcio dalla notte precedente.
Un’altra volta, sempre in preda ai fumi dell’alcol, fu trovato a fare avance, anche piuttosto pesanti, a una donna che si scoprì essere la zia di Sean Connery. Informato del fatto Connery si precipitò immediatamente sul set per... invitarlo in un pub per bere e a farsi insieme quattro risate sulla vicenda.
Il film di Aldrich fu anche responsabile della fine della carriera sportiva di Jim Brown, uno dei più forti running back della storia e idolo delle folle dei Cleveland Browns.
Chiamato a interpretare il soldato Robert Jefferson la cosa non piacque alla NFL che, saltata la preparazione estiva e a ridosso dell’inizio del campionato, lo minacciò di sospenderlo se non avesse rinunciato al ruolo. Per tutta risposta il giorno dopo Brown indette una conferenza stampa nel quale annunciava il suo ritiro dallo sport agonistico per dedicarsi completamente al cinema.
Ma Quella sporca dozzina fu soprattutto l’inaspettata rampa di lancio per un giovanissimo Donald Sutherland, attore che originariamente doveva avere soltanto una battuta in tutto il film, e che arrivò invece a sostituire il personaggio di Clint Walker, il gigante buono Posey, che nella sceneggiatura originale doveva essere il protagonista della presa in giro del Col. Breed ma che venne rifiutata dall’attore che non la sentiva nelle sue corde.
La leggenda vuole infatti che sia stata proprio quella scena, improvvisata quasi sul momento, a fargli guadagnare qualche anno più tardi il ruolo di Occhio di Falco in M.A.S.H. di Robert Altman.
Ma i motivi del successo e della fortunata longevità di The Dirty Dozen risiedono anche & soprattutto nell’eccentricità della situazione e nella contagiosa anarchia dei suoi protagonisti come nelle relazioni tra i singoli personaggi e le tensioni tra loro e l’autorità militare, tra il bisogno di indipendenza di ogni individuo e la necessità di esercitarla comunque in un contesto comunitario, e pur non avendo interesse a una glorificazione dell’esercito il film ne descrive la personale rigenerazione umana (e sociale) proprio grazie al lavoro di squadra necessaria alla loro sopravvivenza nella missione e che fece sorgere anche qualche dubbio sulla sua ideologia, ritenuta (sottilmente?) reazionaria o comunque sostenitrice (!) della violenza come mezzo per il riscatto e la propria personale redenzione.
La spregiudicatezza e la caratterizzazione dei personaggi sono comunque uno degli aspetti migliori della sceneggiatura di Heller che non si limita ad alternare la commedia a sequenze drammatiche ma ne varia i registri direttamente nelle singole scene provocando un umorismo irrispettoso e beffardo.
La tragicità di fondo della pellicola viene infatti deformata proprio attraverso gli inserti ironici in una chiave sarcastica che più che una generica inventiva contro la guerra appare invece come una presa in giro dell’autoritarismo e del militarismo, intercettando in questo modo i fermenti libertari e antimilitaristi della società di quegli anni.
Attraverso gli stessi canoni sedimentati del film di guerra (reclutamento, addestramento, combattimento ed eroismo) Quella sporca dozzina ne rappresenta la sua stessa negazione a partire proprio dal carattere antitetico del suo spunto iniziale (gli eroi sono dei criminali) per arrivare a comporre un’opera anche politica, volutamente contradditoria (i dubbi esposti precedentemente) rispetto alle opere belliche dello stesso periodo, vedi ad esempio (un titolo a caso) Berretti verdi.
Proprio John Wayne, protagonista e regista di Berretti Verdi, rinunciò al ruolo (già assegnatogli con tanto di contratto firmato) poi affidato a Lee Marvin per realizzare e interpretare il film co-diretto da Ray Lellogg perché infastidito dalla sua ideologia di base.
VOTO: 7
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