Regia di Bennett Miller vedi scheda film
"Foxcatcher", terza regia in dieci anni per Miller, non è un film sullo sport, in questo caso la lotta greco romana, o un racconto biografico come tanti altri visti attraverso la lente del cinema americano, ma è molto di più. Il film, classico, dal passo lento ma sicuro, deciso, secco, senza nessun tipo di fronzolo, quasi glaciale, è un racconto, vero, di smisurata ambizione, con uno Steve Carrell, in tutto e per tutto un Napoleone fuori tempo, che incarna la follia del sogno americano, disperso fra la tipica ambizione dell'essere il migliore, la megalomania e il declino verso una malattia, che non colpisce il solo John Du Pont del film, ma un po' tutta una certa parte dell'America che cerca, disperatamente, di volare in alto come un tempo e come l'aquila che la rappresenta. A farne le spese, sono i due fratelli Schultz, campioni olimpici, che finiranno massacrati dalla visione totalitaria e assoluta del Du Pont. Dave perderà la vita e Mark, più debole, finirà nel giro dei combattimenti semi clandestini. Tutto implode in "Foxcatcher" con una lentezza programmata. Si assiste rapiti all'autodistruzione del sogno americano. Un grande film, sicuramente il migliore per Bennett, parecchio distante dalle luci di Hollywood e vicino al cuore nero e più blues di un certo cinema di Clint Eastwood. Tutto molto bello, compresi gli attori e le riprese dei combattimenti.
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