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Foxcatcher - Una storia americana

Regia di Bennett Miller vedi scheda film

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La recensione su Foxcatcher - Una storia americana

di barabbovich
7 stelle

È la storia più funerea del sogno americano quella che racconta Bennett Miller (premio per la miglior regista al 67o festival di Cannes), il cui cinema continua a girare sul tema del tradimento dei Padri della nazione, sull'eclissi dei valori, sulla perdita dei modelli che qui compaiono come fantasmi. Di modelli e mentori si parla moltissimo in questo film che mette in scena - alla maniera di Truman Capote: a sangue freddo - la perdita dell'innocenza di una nazione venduta al denaro e alle armi.
Protagonista di quest'altra storia vera (la terza, con L'arte di vincere) è John De Pont (Carrell), eccentrico ereditiere di una delle più ricche famiglie d'America ormai attempato, eppure ancora nel cono d'ombra della madre ultraottuagenaria (Redgrave). L'uomo vorrebbe mostrare di valere qualcosa e così, nella sua residenza regale dove ha anche allestito una palestra di lotta libera, nel 1987 ingaggia Mark Schulz (Tatum), medaglia d'oro olimpica in quella disciplina, puntando alla vittoria dell'olimpiade successiva nella quale vorrebbe figurare come coach. Il ragazzotto, un solitario dall'aspetto non proprio sveglio, allenato e cresciuto dal fratello maggiore Dave (Ruffalo), cede alla proposta per rastrellare qualche dollaro facile ma finisce col perdere motivazioni e peso, lasciandosi irretire da alcol e cocaina. Non contento, Du Pont reclama anche la venuta di Dave con tutta la famiglia, cosa che, dopo qualche resistenza, avviene puntualmente. Con conseguenze tragiche.
Il denaro come unico dio, i modelli veri (il fratello) che cedono e quelli contraffatti (il plutocrate), una nazione intera venduta allo sbraco dell'edonismo (siamo nel pieno degli ani '80), le armi - persino un carro armato - nel giardino di casa come fossero giocattoli, la solitudine diffusa: è questo il ritratto impietoso e algido di un'America senza più guide, per la quale il patriottismo è soltanto uno slogan e in cui persino lo sport ancestrale della lotta libera ha ceduto alle apparenze pagliaccesche del wrestling.

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