Regia di Bennett Miller vedi scheda film
FESTIVAL DI CANNES 2014 - CONCORSO - PREMIO PER LA MIGLIOR REGIA
FOXCATCHER, del bravo regista Bennett Miller, è il film con cui personalmente completo la mia visione dei film presentati in Concorso al Festival di Cannes 2014 (davvero una grande stagione quest'ultima della manifestazione cinefila più nota, celebrata ed ambita al mondo!).
Un altro biopic in un anno che ha visto concentrarsi storie ispirate o incentrate su vicende di personaggi realmente esistiti, controversi o particolari a tal punto da rendervi ispirabili sceneggiature da cui il cinema ha tratto spunto, per riproporcele in immagini: racconti personali e drammi realmente accaduti rielaborati spesso fedelmente per trasporli e rappresentarli sul grande schermo.
La pellicola è incentrata sulla contraddittoria, fosca vicenda, sfociata nella tragedia più cupa ed assurda, del capostipite di una ricchissima famiglia di magnati dell'industria bellica.
Un tipo strano, goffo, umorale, solitario, ombroso, indecifrabile, che, forse per noia, forse per vera ammirazione, si appassiona a tal punto ad uno sport non proprio da alta società, comunque distante dal mondo e dal rango di una famiglia aristocratica che colleziona cavalli pregiati da corsa; insomma di uno sport "primitivo e puro" come è la lotta libera, a cui l'uomo si attacca a tal punto e con la convinzione trainante e univoca, da organizzare e costruire, all'interno della sua immensa villa con parco, un centro di addestramento ove preparare la squadra statunitense alle olimpiadi, tra fine anni '80 e la seconda metà dei '90.
Tra gli atleti, l'attenzione dello strambo, complessato e torvo milionario, si sposta su due fratelli già celebri e pluripremiati, i Schultz, vincitori delle precedenti olimpiadi, da lui accolti e seguiti, con particolare attenzione per il più giovane e promettente (un Channing Tatum assolutamente pertinente e fisicamente in parte nella possente, quasi goffa fissità del suo incedere).
Un personaggio controverso che il regista Bennett Miller, esperto nel trattare personalità disturbate o poco definibili, dopo "Truman Capote – A sangue freddo", e in linea col precedente (in verità un po' troppo verboso) "Moneyball" sempre incentrato sul mondo (marcio) dello sport, riesce a rendere nel migliore dei modi, grazie anche ad una sconvolgente, inquietante metamorfosi da parte dell'insolitamente impegnato Steve Carrell, davvero quasi irriconoscibile, qui in un ruolo che farà impazzire i membri dell'Academy in sede di nomination.
E se la sua pur notevole interpretazione a mio avviso non sposta le sorti di un premio all'interpretazione maschile quest'anno davvero molto combattuto, e comunque pur sempre nelle mani di Michel Keaton, il film, eccellente, teso e molto ben girato, tanto da valere il premio alla regia a Miller proprio a Cannes, è un concentrato sarcastico e pungente che fa riflettere sugli anacronistici pattriottici costumi di una società statunitense tutta amor patrio e violenza, maniacalità che oltrevalica la passione, per sfociare nel paradossale e quindi nella tragedia.
Mark Ruffalo, nel ruolo dello sfortunato fratello maggiore David Schultz, merita pienamente la nomination come miglior non protagonista, mentre la grandissima Vanessa Redgrave appare poco ma non si dimentica nei panni di una regale, quasi superiore, non meno misteriosa madre di contanto indecifrabile, tormentato del figlio assassino.
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