Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
“Posso chiederti una cosa?”
“Dimmi!”
“Perché vuoi a tutti i costi fare l'amore con me?”
“Be', per esserti più vicino. Perché ti amo.”
“Anch'io ti amo. Eppure non ho nessuna voglia di fare l'amore con te. Viviamo insieme, ti abbraccio, ti accarezzo, hai le mie gambe, la mia bocca, i miei seni. Perché vuoi fare anche l'amore?”
Mathieu (Fernando Rey), benestante e maturo signore parigino, deve far ritorno in Francia da Siviglia; appena salito sulla carrozza del diretto per Madrid, rovescia una secchiata d'acqua addosso ad una giovane (Carole Bouquet) che lo prega di non andarsene. Il gesto non sfugge ai compagni di vagone, che non esitano a chiedere – tanto insistentemente quanto educatamente - spiegazioni, fornendo a Mathieu l'occasione di narrare le tribolate vicende d'amore capitategli.
La ragazza umiliata alla stazione altro non era che la sua compagna ed ex-cameriera della sua tenuta Conchita (Ángela Molina), fascinosa diciottenne di umili origini. Quella che potrebbe sembrare una banale infatuazione diventa per Mathieu un autentico rompicapo: Conchita a tratti pare lasciarsi sedurre, a tratti rifiuta gelidamente evoluzioni di un rapporto già resosi complicato con la convivenza e gli aiuti economici alla madre di lei. L'appetito sessuale di Mathieu, alimentato da vizi e capricci, rimane eternamente insoddisfatto, fra terribili disorientamenti per il comportamento enigmatico dell'amata, discussioni sterili e indumenti di castità.
E poco importa se Parigi è flagellata da atti di guerriglia criminale e terrorismo: il desiderio è tale da risucchiare ogni attenzione e forza. Dopo l'ennesimo tira e molla, Conchita è finita a fare la ballerina di flamenco nella natia Siviglia, da cui Mathieu sta tornando in seguito ad un tentativo di riconciliazione conclusosi in maniera ambigua…
L'ultimo film di Luis Buñuel, in seguito ritiratosi per l'aggravarsi delle sue condizioni di salute, è il lavoro strutturalmente più convenzionale della sua conclusiva ed esuberante trilogia francese.
Ciò non toglie che “Quell'oscuro oggetto del desiderio”, liberamente tratto dal romanzo “La donna e il burattino”, desti comunque delle sorprese, a cominciare dall'idea (probabilmente buttata lì per scherzo con Carrière e Silberman) di far interpretare a due attrici diverse lo stesso personaggio. Se leggenda vuole che l'attrice designata in prima istanza fosse Maria Schneider, Carole Bouquet e Ángela Molina assolvono più che bene i propri compiti, subentrando alternatamente in scena: timida e delicatamente sensuale la prima, ballerina spiantata e provocante l'altra, si susseguono senza soluzione di continuità nei panni dell'ambita Conchita, dando vita ad un effetto quantomeno bizzarro; la differenza è palese agli occhi dell'osservatore, ma la doppia natura sfugge ai protagonisti e in particolar modo a Mathieu, in balìa di una schermaglia psicologica che lo vede sconfitto in partenza.
L'atto sessuale, simbolo dell'esaudimento di un desiderio possessivo, non viene mai concluso e la differenza di ceto non basta a soddisfare un bisogno tanto cieco, frustrante, egoista e profittatore (per quanto naturale).
Come se non bastasse, Buñuel mescola ulteriormente le carte in tavola e ambienta il tutto in una Parigi squallida e devastata da atti di terrorismo, alcuni dei quali opera di fantomatici Gruppi Armati Rivoluzionari del Bambin Gesù; questo espediente tragicomico, a cui fatico a dare un senso, conduce ad un finale poco soddisfacente e mal armonizzato con la vicenda principale (per quanto ad essa metaforicamente connesso).
“Quell'oscuro oggetto del desiderio” ritrova un ottimo protagonista in Fernando Rey, professionista superbo, divenuto in tarda età attore ben noto, nonché feticcio e amico di Buñuel; la sua caratterizzazione, unita al suo consueto portamento, è misurata ed efficace. Già detto delle brave femme fatale che danno forme a Conchita, Buñuel può contare anche qui sull'apporto sempre impeccabile dei tanti caratteristi (Milena Vukotic, Julien Bertheau, Piéral), i cui personaggi ammiccanti e untuosi funzionano bene nella loro marginalità.
Ritengo sia il più confuso fra gli ultimi film di Buñuel, ma “Quell'oscuro oggetto del desiderio” non è un brutto canto del cigno.
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