Regia di Delmer Daves vedi scheda film
Western atipico costruito sul telaio del western tipico americano. Quel Treno per Yuma esce quattro anni dopo l'omonimo racconto (assai breve) dello specialista Elmore Leonard (che poi si farà strada anche nell'hard-boiled) ed è subito un successo, tanto da strappare la nomination al BAFTA quale miglior film dell'anno. Halsted Welles fa un grande lavoro di sviluppo alla sceneggiatura. Parte dal western tradizionale americano, con il padre di famiglia che ha una moglie e due figli da accudire, ponendo il nucleo familiare al di sopra di ogni cosa; su questa base si inserisce la parte atipica, con uno sviluppo che, pur restando nel solco dei buoni valori e principi che dovrebbero sorreggere la nascente società americana (aspetti questi ultimi che saranno spazzati via nello spaghetti western), si discosta dal genere a favore di una seconda parte assai originale. La storia è interamente incentrata sul tentativo da parte di un allevatore di bestiame (che accetta l'incarico perché attirato dai 200 dollari di compenso) e di un voluminoso imprenditore (un Robert Emhardt che sembra la controfigura di Hitchcock) di condurre il pericoloso bandito Ben Wade (un monumentale Glenn Ford) al carcere di Yuma. Il tentativo viene mostrato solo per la sua parte iniziale, con l'azione (riuscita) di depistaggio per mandare fuori strada gli amici del manigoldo e l'attesa in una camera d'albergo dell'orario del passaggio del treno.
È dunque un western giocato sull'attesa, sul tempo che scorre lentamente ma implacabile e soprattutto sui dialoghi tra i due protagonisti: il bandito Wade e l'integerrimo Dan Evans (Van Heflin). Nervoso e sudato il secondo, spavaldo e certo di tirarsi fuori dall'impiccio il primo. Delmer Daves gira con gran piglio, ponendo spesso la telecamera a quarantacinque gradi per inquadrare il cielo solcato dalle nuvole. La fotografia è notevole, il bianco e nero splendido e ben contrastato. Intriso di un romanticismo che va ben oltre il realismo, Quel Treno per Yuma è un western che aumenta di interesse soprattutto nel secondo tempo, dove cresce la tensione. La parte finale è da antologia, resa indimenticabile dallo smargiasso Glenn Ford e dal sempre più nervoso Van Heflin, conscio di essersi lasciato coinvolgere in un'azione suicida. Wade però è un bandito atipico, un brigante con senso etico che sogna (pure lui) di avere una moglie che lo ami e dei figli da scorrazzare per la campagna in sella a un cavallo. A suo modo stima il padre di famiglia, gli propone di continuo del denaro per farsi liberare e quando questo rifiuta ogni proposta pur essendo rimasto il solo a custodirlo (gli altri scappano tutti perché intimoriti dal sopraggiungere della banda di Wade) decide di assecondarlo oltre la semplice minaccia pur di farsi condurre sul treno. Una mossa questa che lascia sorpresi sia i componenti della banda sia gli spettatori nonché lo sceriffo improvvisato incarnato dall'allevatore di bestiame. Che Ben Wade voglia davvero pagare il suo debito alla giustizia? Neanche a pensarlo. Forse, più semplicemente, Wade vuol aiutare un personaggio che apprezza ad ammantarsi di un'aura da leggenda e, allo stesso tempo, non dipendere troppo da chi potrebbe rinfacciargli di averlo liberato. In fondo, come dice lui stesso, da Yuma è già evaso una volta e lo ha fatto per conto proprio...
Grande western, peraltro ben musicato da George Duning con una splendida main theme (The 3.10 to Yuma) cantata da Frankie Laine.
James Mangold realizzerà cinquant'anni dopo un remake piuttosto fedele (ma più sviluppato nelle caratterizzazioni dei personaggi), strappando due nomination all'oscar. Perla del genere.
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