Regia di Hong Sang-soo vedi scheda film
In cerca di qualcosa o in attesa di qualcuno. Lo sono sempre, i protagonisti dei film di Sang-soo Hong. Sono anime perse, che raccontano il loro peregrinare attraverso le infinite possibilità dell’essere, che, a dire il vero, differiscono di poco l’una dall’altra, ma sono tutte ugualmente circondate dall’alone del dubbio. Per poterle distinguere bisogna parlarne, diffusamente e insistentemente. Occorre ritornare più volte sull’argomento, per poterlo inserire nell’evidenza della vita, che è fondata sulla ripetitività dell’esperienza. Il pensiero, per conquistare la certezza, deve compiere itinerari esplorativi che lo riportino tutti allo stesso punto di partenza. Ad esempio, all’irrimediabilità di una separazione, che suggella il compimento di un rapporto, e quindi conferma la sua reale sussistenza nel percorso di una vita. Sarà dunque un desiderio di chiarezza a spingere la giovane Haewon a confidare a destra e a manca un segreto a cui, in realtà, sembrava tenere molto: ha avuto una relazione con Lee, un docente della sua scuola, che è anche un uomo sposato. È una storia finita, forse sbagliata, però completamente vera, e dunque importante. Sapere significa rivolgere al passato domande a cui solo il presente può dare una risposta. Che magari non è unica, ma è comunque nuova, e quindi testimonia come il tempo non sia passato invano. I luoghi possono ricomparire identici, e lo spazio sembrare addirittura immobile: tuttavia, all’interno di quei confini ristretti ed immutabili, il cerchio si può muovere, girando lentamente fino a chiudersi sulla dimostrazione della congettura di partenza. Haewon e Lee sono stati insieme, è stato bello, ma poi si sono definitivamente lasciati. La scena si può immaginarla diversa, però ormai è stata girata. Lee è un regista prestato all’insegnamento: forse non ha mai avuto successo, nel cinema, perché troppo incline a dare il buona la prima e poi cambiare idea. A quella ragazza non doveva più telefonare, questo era l’accordo, dopo la notte passata con lei nel motel. Invece lui non ha saputo rispettare i patti. Si scorge il vagheggiamento di una irraggiungibile compiutezza nella sua abitudine a riascoltare sempre lo stesso brano musicale, quel secondo movimento della settimana sinfonia di Beethoven che sembra chiamato a ribadire la presenza di ciò che non c’è più. Non si può continuare a guardarsi indietro e non capire: la prospettiva si deve modificare, la distanza deve intervenire per differenziare le proporzioni e precisare i significati. Non si può insistere nel non vedere. Persino il vento, che è aria trasparente, diventa visibile, quando nel suo campo d’azione si introduce quella geniale invenzione che è la bandiera. La mente, viaggiando, aggiunge dettagli e disegna nuovi percorsi sulle strade già costruite. I viali dell’antica fortezza si sono trasformati in tracciati per escursionisti, il frutto del durissimo lavoro di tanti schiavi operai è oggi un’attrazione turistica. Haewon non è più l’amante di Lee, e nemmeno più la figlia di sua madre, che ha deciso di trasferirsi in Canada, ma forse tra poco sarà la moglie di un professore di un’università californiana. Il flusso del divenire si avvolge su se stesso, ma poi, ad un certo punto, si prepara a spiccare il volo. Il viaggio prosegue, spostando il traguardo un po’ più in là. La riflessione precede la svolta, e l’esitazione non cessa di accompagnarla. E, come in The Day He Arrives, Sang-soo Hong ci manifesta ancora, senza pudore, il suo imbarazzo di essere un regista che è soprattutto un uomo, impegnato nel difficile compito di mettere in scena la propria imperfezione.
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