Regia di Luigi Di Gianni vedi scheda film
A due mesi di distanza dall’esondazione della diga del Vajont, Di Gianni si reca sui luoghi di quella tragedia.
Ben poco rimane, quasi nulla di Longarone e dei suoi dintorni, nella provincia bellunese, in quella zona dove un paio di mesi prima una frana di vaste dimensioni ha causato l’esondazione di una diga e la conseguente inondazione della valle sottostante. Un disastro che è costato la vita a quasi duemila persone e che ha ridotto in ginocchio vari paesi (anche Erto e Casso), ma che ha colpito in maniera brutale, devastante soprattutto Longarone, pressochè cancellandolo dalle carte geografiche. Luigi Di Gianni, regista dalle spiccate doti antropologiche e sociologiche, si reca in questi luoghi per osservare di persona il cimitero – nel senso della parola: un’infinita fila di croci, molte delle quali ancora senza nome o con il nome, ma senza il relativo corpo – all’aria aperta che il paese è diventato, intervistando anche qualche sopravvissuto. Naturalmente sono soltanto parole di sconforto, perché nessun ottimismo di facciata può aiutare a superare la sensazione desolante di totale sconfitta, di annientamento che aleggia su quei luoghi. Ma c’è anche rabbia nell’aria, poiché numerose denunce erano state fatte negli anni precedenti e il pericolo di una siffatta catastrofe era tutt’altro che imprevisto. Il cinema si occuperà altre volte di questa pagina nera della nostra nazione, ma a Di Gianni va il merito di essere stato il primo a parlare dell’argomento e, cosa ben più importante, di averlo fatto senza pietismi o giri di parole: il risultato dà francamente i brividi. Undici minuti di durata, con commento (in voce off) scritto da Luciano Malaspina. 7/10.
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