Regia di Rawson Marshall Thurber vedi scheda film
Una volta, nella Commedia dell’Arte, tanto tempo fa, il pubblico non aveva interesse se i personaggi fossero profondi o fossero semplici macchiette, l’importante era perseguire un divertente canovaccio. Ed è chiaro dunque il motivo per cui la Commedia dell’Arte, nella sua ingenuità, è decaduta a favore di un tipo di commedia più “seria” e sofisticata, che poi ha ispirato la commedia cinematografica di qualità. E così è nata la “buona” ( e non “buonista”) commedia, quella che sa divertire ma sa anche far riflettere su nuove idee e nuove situazioni, sa dire qualcosa di serio senza essere banale e buonista, e proponendo personaggi per niente stereotipati. Ebbene, che succede se i personaggi non sono stereotipati, ma sono comunque delle macchiette? È il caso di “Come ti spaccio la famiglia”, in inglese “Millers”, del regista Thurber, che ha pochi precedenti e neanche tanto memorabili, ma che per questo film è riuscito a creare un saggio compromesso fra la commedia più innocua e conformista e qualcosa di più incisivo e graffiante contro certi stereotipi tutti (dei film) americani, come virilità, femminilità, azione, ma, soprattutto, la Famiglia, con la F maiuscola, come in “Come uccidere il proprio capo..e vivere felici” era il Lavoro. Così allestisce una nuova commedia acida e cattiva, in cui sembra che i buoni sentimenti facciano capolino quando il film è riuscito a rendersi davvero originale, ma in cui in realtà è lo spirito della modernità a parlare, e inneggia alla difesa di una famiglia ben diversa da quella tradizionale, fatta di reietti e di persone essenzialmente sole, una famiglia artificiale nata da un compromesso di dubbia moralità, e che sottoterra risulta una rivincita rispetto a un certo tradizionalismo (e, appunto, conformismo) di matrice tutta hollywoodiana. Alla fine il film riesce a divertire non poco, con un ritmo veloce e indemoniato, un’ironia che a tratti, per volgarità, raggiunge le vette dei migliori Farrelly (senza che la volgarità sia mai gratuita, ma funzionale al tentato anticonformismo) e un conforto finale che è una fiducia incondizionata nel cambiamento e nella diversità, nonché ambiguità, che ci propone il nostro nuovo terzo millennio. Molti infatti sono gli occhiolini allo spettatore medio di tv di qualità del terzo millennio, in citazioni varie ed eventuali (da Friends a Dexter), e molte le frecciatine sarcastiche meno innocue di quanto sembri (la famiglia “normale” e bizzarra che incontrano i protagonisti per la strada è anche suscettibile di nuove e stimolanti perversioni, e si mantiene sempre profondamente ingenua), benché alla fine trionfi una certa giustizia morale, come prescrivono le commedie del “terzo millennio”. Ma di fronte a tanta verve e a tante trovate narrative, di fronte a questa inaspettata capacità di avvincere, dopotutto, e di giocare con la moralità dello spettatore con una leggerezza che sì, si affida a un lieto fine, ma mette anche in scena certe situazioni veramente curiose ed estreme (la droga venduta, in una delle prime immagini, a una donna con un bambino, il sessismo crescente e certa gioventù bruciata), alla fine accettiamo l’idea di un mondo dove per cercare la semplicità bisogna realizzare un compromesso. Ed è proprio quello che realizza Thurber con questo piccolo gioiello di comicità.
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