Regia di John Mackenzie vedi scheda film
Harold Shand (Bob Hoskins) è un boss della malavita con grossi progetti in cantiere e una vita agiata contraddistinta da ogni sfarzo e conforto. In un periodo di notevoli cambiamenti per il Regno Unito, tra cui la presa di potere del regime liberale, l’industrializzazione appurata in territorio straniero, e l’ingresso nell’UE, Shand si prepara all’affare più importante della sua carriera criminale: manipolare, con l’ausilio della mafia americana, il quartiere dei London Docklands, così da far diventare questi borghi, semi abbandonati e trascurati, delle location nelle quali potrebbero svolgersi i futuri giochi olimpici. Shand controlla praticamente tutto: le forze dell’ordine, l’imprenditoria e l’amministrazione del luogo. C’è però una nuova ed arcana avvisaglia che ne compromette il business: una serie di trucidissimi omicidi hanno come vittime i veterani dell'organizzazione, mentre delle bombe di anonima origine distruggono alcuni degli edifici e delle vetture di Shand, terrorizzando la madre, la quale si era recata in chiesa per celebrare il venerdì santo. Il clima diventa angoscioso… ha veramente la città perennemente in pugno come pensa? C’è un’associazione concorrente di cui non è a conoscenza? Magari che stia cercando di tentare la stessa scalata al successo che l’aveva coinvolto diversi anni addietro? O sono gli inetti ed inaffidabili statunitensi a volergli sferrare un colpo basso con lo scopo di intimidirlo?
Questo cult di John Mackenzie ha due grandi meriti: aver preconizzato l’escalation progessiva del thatcherismo e la trasformazione dei Docklands in una sfrenata zona di commercio. Il fulcro centrale del film, va precisato, non è l’analisi delle patologie politiche e sociali della terra d’Albione in una fase particolarmente oscura e cabalistica; si focalizza maggiormente sul profilo psicologico del main character: Harold. Sadico, virulento, anètico. L’encomiabile interpretazione di Hoskins è stentorea nella lugubre sicumèra, coriacea nel tratteggiarne crudeltà e turpitudini, impeccabile nel mostrarne solerzia ed acribia nelle scabre iniziative. Ha come spalla la sexy ed audace Helen Mirren (magnifica, ovviamente). Nel momento in cui avrà inizio la carneficina verso i sospettati attentatori, non si paleseranno accondiscendenze, né s’indulgerà nella presa di posizione di un vessatorio, pernicioso modus operandi orientato al massacro. Il vortice incontrovertibile di sangue e violenza galvanizza l'attenzione dello spettatore in una rappresentazione nembosa, dall’aura arcigna; la cosmesi esposta da Phil Meheux esalta le tonalità fredde e tumide di una metropoli in decadenza, evitando comunque di affievolire il poeticismo dei fotogrammi, grazie anche ad un utilizzo zelante dell’incantevole colonna sonora di Francis Monkman, la quale alterna con perizia affascinanti temi classici con risonanze più dense ed incalzanti. Mackenzie, intanto, mostra un’abilità della direzione fuori dal comune. Molto belle, ad esempio, le riprese dei frammenti in auto, dove l’obiettivo della camera si muove armonicamente dai panorami urbani della capitale inglese agli attori, senza stemperare il romanticismo del contesto, o esimersi dallo sviluppo della tensione. Taglienti pure i primi piani conclusivi sul volto sgomentato di Shand, non appena si rende conto dell'amarezza assimilata per aver provato le stesse angherie di cui una volta ne era il mattatore. L’intreccio, tuttavia, sacrifica certi raccordi narrativi, i quali sarebbero stati funzionali a comprendere interamente la trama; i rapporti fra la compagnia di Harold e l’IRA, che si sono consumati all'insaputa del leader, rimangono crepuscolari e non completamente chiariti nell’epilogo. Tale fattore lede solo in piccola parte una storia sostenuta da uno script solido ed energico, il quale rispecchia convincentemente le paure, le ansie ed in genere lo stato refrattario del sottobosco “cockney” negli anni di fuoco.
Se non è stato intuito dalla recensione, “The Long Good Friday” è a pieno titolo un dei migliori gangster-noir britannici di sempre. Procuratevelo: in VHS, DVD, Blu-ray o Beta Max se preferite, ma concedetegli almeno una visione (possibilmente non logorata dalle sforbiciate delle programmazioni via etere). Un lungometraggio di siffatta caratura non merita di cadere nell’oblìo del dimenticatoio.
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